Abbiamo assistito ad un Concerto Lirico particolarmente interessante, con un tema caro agli amanti del melodramma ottocentesco: la pazzia, la follia e le ossessioni delle grandi protagoniste dell’opera. L’opera più eseguita di Donizetti risultava essere nell ‘800 Gemma di Vergy dove il soprano dopo una scena altamente drammatica delira con un’aria davvero impegnativa che porta alla conclusione del dramma.
Andrea Scarduelli nelle numerose introduzioni ai brani ha sottolineato anche l’aspetto patologico e propriamente medico della pazzia declinandolo a seconda delle situazioni. Ciò che affascinava i compositori era la possibilità di creare delle grandi scene che spesso coinvolgevano altri personaggi, pertichini e l’intero coro per dare forma architettonica maestosa a queste scene paradigmatiche. Il pubblico sia di allora che di oggi sembra particolarmente gradire questi climax.
Il maggior esponente di queste scene fu certo Donizetti (a cui toccò la stessa sorte!) di cui questa sera sono stati presentati due capolavori. Roberto Devereux dove viene indagata per la terza volta la figura della Regina Elisabetta I con un’introspezione psicologica acutissima. L’aria finale “Vivi ingrato” in un misto di rassegnazione e tristezza è stata intonata da Alice Quintavalla uscita di recente dall’Accademia della Scala. Voce molto ampia e uniforme nei registri, voce che è risultata perfettamente intonata anche nei temibili acuti nella frase “m’abbandona in eterno a sospirar” una discesa cromatica ottimamente risolta. Sorprendente la cabaletta in moderato che si snoda sinuosa per 30 battute richiedendo una voce compatta e solidissimo fraseggio per sostenere una linea melodica così tornita. Alice Quintavalla ha risolto bene le due strofe della cabaletta che in maniera originale hanno due testi differenti come già succedeva nell’aria finale de la Maria de Rudenz. Un attenzione di Cammarano a creare una continuità drammatica in questi concitati momenti di chiusura della tragedia.
Sempre del Devereux ecco la complessa aria del tenore qui impersonato da Sehoon Moon già sentito al Belloni. La buona pronuncia ha permesso di scolpire un interessante recitativo così comee il cantabile “Come uno spirto angelico”. Vero tema baldanzoso e maschio è il tema della cabaletta che Donizetti inserisce programmaticamente nell’ouverture dell’opera come tema cardine. Moon non teme una scrittura fatta di perigliose salite. Forse è presto per un repertorio così spinto, ma la prova è stata superata. L’ aria è divenuta modello per Pacini per la sua Maria regina d’Inghilterra dove il tenore Fenimoore ripercorre tutte le tappe già segnate nel Devereux. Ne invitiamo all’ascolto per un proficuo raffronto.
Lucia di Lammermoor è l’opera con la più famosa scena di pazzia, venti minuti per un’aria di ampie proporzioni dove il belcanto si tinge di rosso sangue. Il previsto utilizzo della glass harmonica enfatizza le frasi di reminiscenza che strutturano la prima parte della scena. Bianca Tognocchi, dalla già interessante carriera, apprezzata in Olympia ne I racconti di Hoffmann con As.Li.Co, cesella “Ardon gli incensi” e sopratutto rende manifesta la purezza della sua linea vocale in “Alfin son tua, alfin sei mio” una promessa di matrimonio con voce immacolata. Espressiva nel prosieguo dell’aria la Tognocchi esegue “Spargi d’amaro pianto” con la ripresa variata senza il minimo sforzo, da vera primadonna. Trilli ascendenti, veloci scalette cesellate a dovere.
La stessa coloratura sgranatissima il nostro soprano l’ha dimostrata in “Ombre légère” brano celeberrimo della Dinorah di Giacomo Meyerbeer. La fanciulla in delirio per tre atti dialoga con la propria ombra credendola entità a se stante e qui sta la bravura della Tognocchi a diversificare le frasi di Dinorah da quelle supposte cantate dall’ombra che appare e scompare a seconda della luna. Anche la pianista Elisa De Luigi ha contribuito a questa differenzazione con l’appropriato accompagnamento. Aria che si conclude con un originale movimento di valzer veloce che porta la voce ad una scrittura trascendentale e una cadenza in sintonia con il lungo brano ben cantata dal nostro soprano che ha ricevuto notevoli consensi dal pubblico.
La scena del sonnambulismo di Lady MacBeth è una scena cardine in questo capolavoro verdiano. Scritta per le non bella cantate Barbieri Nini di cui di recente ne è uscita una monografia, è un’aria impegnativa non solo per la cantante ma anche per l’attrice che deve simulare il vagare nel sonno. Alice Quintavalla è apparsa con un lume in mano e ogni movimento lasciava intendere la sua ossessione per il sangue, il re Duncan e il funesto marito. Il clima è stato creato da Elisa De Luigi in un ampia pagina pianistica, un Largo che ha definito lo stato di alterazione mentale della protagonista. L’ultimo Re b acutissimo è prescritto con “un fil di voce” forse la cantante non ha seguito espressamente questo dettaglio, ma è davvero difficile nel registro sovracuto.
La scena del sonnambulismo era uno dei pezzi forti della versione fiorentina del Macbeth ma i nuovi brani composti per Parigi nel 1865 l’anno un poco declassata: quanto è più attraente “La luce langue” e il duetto che conclude il terzo atto. Ma questa è una costante dei rifacimenti, la mancanza di un equilibrio tra le parti composte in anni così differenti e di pieno sviluppo per Verdi.
Negli stessi anni Thomas creava Hamlet, una versione edulcorata della tragedia di Shakespeare. Ampia la scena di Ophélie forse meno drammatica e più lirica dove la coloratura non trova sempre una precisa relazione testuale. Bianca Tognocchi mostra acuti perfetti, voce seducente e malleabile, fraseggio sicuro e un trillo acuto perfettamente realizzato. Si tratta di repertorio a lei perfettamente congeniale e ci viene in mente il decadente dipinto con la morte di Ofelia di Waterhouse.
Ultima cronologicamente la pazzia della povera Margherita del Mefistofele di Boito. Un vero peccato che la partitura autografa della immensa prima versione del 1868 sia sta distrutta dall’autore per un eccesso di furore per via dell’insuccesso. Oggi possiamo solo ascoltare la versione Bologna 1875 con due arie strazianti per la protagonista “L’altra notte in fondo al mare” e il finale redentrice “Spunta l’aurora pallida” dove ritorna la musica angelica del Prologo. Alice Quintavalla illuminata da spettrali candele ha dato voce a questo personaggio sfortunato con ottimo senso della parola e una compatta linea vocale, drammaticissima.
Il Belloni è stato capace di proporre non una selezione di ariette ma ampie scene molto complesse offrendoci i nuclei più interessanti e nodali delle opere proposte. Una selezione di momenti ad alta tensione interpretati da giovani e preparati artisti. Sempre interessanti e stimolanti le note illustrate da Andrea Scarduelli vero burattinaio di ogni serata capace di ideare programmi con una propria anima ben precisa. Le luci di Giovanni Belloni hanno avuto particolare interesse oggi per la loro plasticità e la loro continua mutazione a sottolineare gli ampi brani operistici pieni di variabili. Una serata coinvolgente quindi sotto tutti i punti di vista. Vi lasciamo con una piccola curiosità: il nostro tenore Moon avrebbe avuto si un’opera da cantare dove il tenore impazzisce… si tratta della Maria Padilla di Donizetti, impersonata alla Scala dall’ormai anziano Domenico Donzelli che contribuì al successo dell’opera. Magari in un prossimo concerto si potrà indagare questo repertorio misconosciuto.
Prossimo appuntamento il compleanno di Rossini che festeggeremo il 27 e 28 febbraio con un programma di particolare ampiezza e varietà.
Fabio Tranchida