Ogni anno laVerdi festeggia la Pasqua proponendo una Passione bachiana. Sebbene dai documenti risulti che Bach abbia composto cinque Passioni, solo due sono giunte a noi complete e autografe:secondo Giovanni e Matteo. La terza, quella secondo Marco, è solo parzialmente ricostruibile da una successiva Cantata mentre è ormai stabilito che laPassione secondo Luca sia solo la trascrizione di un lavoro altrui. Nessuna notizia infine riguardo la quinta, per quanto vi sia sempre la speranza che nuovi materiali vengano alla luce, come sta accadendo per Vivaldi.

Quest’anno è toccato alla Passione secondo Matteo, che con le sue tre ore di musica, svariati solisti, doppio coro e doppia orchestra, è una delle composizioni più impegnative di Bach. Lo sdoppiamento dei gruppi, effetto stereofonico pensato per la grande chiesa di san Tommaso a Lipsia, va perduto nelle odierne versioni da concerto, ma in questa occasione laVerdi ha avuto l’opportunità di cambiare rotta. La seconda delle tre repliche del concerto va infatti in scena in chiesa. Purtroppo la scelta è caduta sul Duomo di Milano, sede significativa ma priva di adeguata acustica e di tribune laterali per dislocare il doppio organico. Scelta più intelligente sarebbe stata in questo senso la settecentesca Santa Maria della Passione.

Altro elemento filologico a cui in Italia si deve quasi sempre rinunciare è quello delle voci di giovinetti per le parti di contralto e soprano. Surrogato tradizionale è l’utilizzo del controtenore, che con il suo timbro anfibio crea una sensazione arcaicizzante. In effetti il vero protagonista della serata è stato il controtenore fiorentino Filippo Mineccia, ormai presenza costante de laVerdi. Dà prova della sua voce seducente e uniforme in tutte due le ottave soprattutto nell’Aria “Buss und Reu”, dove dialoga con due flauti traversi. Raffinato anche il duetto tra Mineccia e il sopranoCéline Scheen, un vero intreccio inestricabile che per posizione e funzione ricorda le chiuse d’atto dell’opera seria. D’altronde Bach doveva tenere particolarmente a questa voce di Alto se le fa aprire anche la seconda parte con un’aria ricca di passaggi verso l’acuto (impeccabile Mineccia) per poi dedicarle il capolavoro “Erbarme dich”.

Degna di nota anche la prova del soprano Céline Scheen: voce drammatica ma al tempo stesso misurata, senza eccessi. Nella seconda parte, in “Aus Liebe will mein Heiland sterben”, il soprano gioca in raffinati vocalizzi con la parola chiave “Liebe”. La coloratura della Scheen si è dimostrata sempre incisiva e carica di significato.

Il basso cremonese Marco Granata (protagonista fra l’altro di una recente Cambiale di matrimonio al Teatro Regio di Parma) ha affrontato la Passione con il giusto impegno, esibendo una voce non particolarmente ampia ma quantomeno dalla solida impostazione. Continuare su questa via di studio rigoroso lo porterà di certo a nuovi traguardi.

Qualche dubbio in più sul tenore inglese Tim Lawrence, voce povera di armonici e pure con alcune ruvidezze di troppo.

L’evangelista Clemens Löschmann è stato corretto, specialmente per merito di un ottimo accento da madrelingua, che non basta al basso Klaus Häge, voce di Gesù francamente inadeguata, affaticata e con linea vocale non controllata e spesso spezzata. Peccato perché la parte in recitativo accompagnato merita attenzione nello sviluppo drammatico (si pensi all’episodio dell’ultima cena, scritto con notevole realismo).

Particolarmente interessante infine la voce del giovane baritono marchigiano Daniele Caputo, che ha sostenuto numerosi piccoli ruoli sempre con voce corposa e autoritaria. Ha differenziato bene ad esempio il codardo Giuda dal mefistofelico Sommo Sacerdote. È su questi particolari che si regge la successione delle scene drammatiche, che trovano nei recitativi i veri punti di svolta.

Buona la prova del coro che deve dimostrarsi polivalente, affrontando corali solenni entrati anche nella liturgia così come cori più elaborati, brevi interventi nelle arie più impegnative e soprattutto i veloci movimenti delle “turbe”.

Direzione precisa del maestro Ruben Jais (che va interamente a memoria), con particolare attenzione alla concertazione dei fiati e alla differenziazione del basso continuo nei recitativi (aiutato dal sempre puntuale Davide Pozzi, dotato di estrema fantasia).

Appuntamento al Lunedì dell’Angelo per l’altro classico momento bachiano: l’Oratorio di Pasqua, in questo caso con il complesso de laBarocca. Buona Pasqua a tutti i nostri lettori.

Fabio Tranchida