Torquato Tasso: Leo An
Don Gherardo: Marzio Giossi
Eleonora: Gilda Fiume
Geraldini: Giorgio Misseri
Alfonso II: Gabriele Sagona
Direttore: Sebastiano Rolli
Regia: Federico Bertolani
Non vedevamo l’ora di assistere a questo revival: quasi tutti conoscevano il Torquato Tasso grazie alle vecchia registrazione Bongiovanni che aveva due grossi problemi diametralmente opposti: l’aggiunta della sinfonia composta dal direttore De Bernard e del duetto delle due Eleonore proveniente dalla Marescialla D’Ancre di Nini; l’altro problema era il taglio di quasi tutte le ripetizioni delle cabalette (peraltro variate da Donizetti in maniera raffinata) e di tante codette a fine brano. Oggi finalmente abbiamo ascoltato l’opera senza i due brani spuri e con le cabalette complete, fattore che ha donato all’opera un equilibrio straordinario.
Il Torquato Tasso ha molti punti in comune con Il Furioso (ma anche con Matilde di Shabran a guardare bene): Il Furioso, composto sempre nel 1833, per lo stesso teatro Valle, con lo stesso librettista Jacopo Ferretti (già creatore di due capolavori rossiniani) e soprattutto per la stessa compagnia di canto: un basso buffo e un basso cantante, cioè Giorgio Ronconi, da conciliare nella stessa opera. Mentre questa operazione era riuscita a perfezione nel Furioso con un eccellente Kaidamà che interagiva con l’intera vicenda, ecco che qui nel Tasso Don Gherardo, il buffo, non riesce mai ad interagire con gli altri protagonisti. In compenso gli vengono regalate due enormi arie all’inizio del primo e secondo atto con l’interazione di un spertichino e dell’intero coro. Arie bellissime dalla sillabazione frenetica degno sviluppo dell’aria “Sia qualunque delle figlie” di Don Magnifico; arie però che sono alquanto interlocutorie, senza alcun sviluppo drammaturgico. Marzio Giossi ha tratto da questa materia un ottimo personaggio, cattivo, pettegolo e con la fissa delle domande più importune: sebbene Giossi non abbia in repertorio ruoli buffi il suo sillabato è stato impeccabile e grazie all’interazione dell’intero coro ha creato due scene interessantissime per forma ed architettura. Non sappiamo l’opinione di Donizetti riguardo l’inserzione di un buffo in una vicenda talvolta tragica ma quando dopo pochi anni gli fu proposto di eliminare Don Gherardo la sua opposizione fu totale.

Vicenda tragica poiché la pazzia del Tasso fu una vera e propria malattia che lo afflisse per quasi tutta la vita con alti e bassi: melacholia hypocondriaca la chiamavano allora, oggi diremmo depressione bipolare. Giorgio Ronconi era allora agli inizi e aveva tutta la forza di cantare per tre lunghi atti l’ultimo dei quali strutturato come una intensa aria con coro. Anche il nostro baritono coreano Leo An ha mostrato tutta questa energia (senza neanche la pausa tra il secondo atto e il terzo) scolpendo un Tasso sofferente, sempre quasi allucinato e dotato di grande passione verso Eleonora e scatti d’ira verso Geraldini e Don Gherardo. La voce è parsa robusta senza cedimenti e uniforme, anche la dizione (spesso Tasso cita le sue liriche) era perfetta. Davvero un’ottima scelta questo interprete che ci ha fatto un regalo inaspettato: la ripresa della lenta cabaletta dell’ultima aria è stata cantata in pianissimo, un pianissimo raggelante. Una scelta di grande intelligenza, sicuramente concertata con il direttore.
Di livello leggermente inferiore il tenore Giorgio Misseri: d’accordo la parte è ingrata, difficile e molto esposta. Lo stesso Palacio a Savona aveva spianato tutta la parte all’insaputa del pubblico plaudente. Ma noi conosciamo a memoria lo spartito completo e aspettavamo Misseri al varco: innanzitutto il tenore responsabilmente ha cantato ogni nota, nessuna esclusa sia nell’aria che nel duetto con Eleonora. Buona la tecnica che gli ha fatto superare numerosi scogli. Ciò che non ci è piaciuto e un poco il timbro mano mano che la voce si assottigliava verso le note acute, comunque di passaggio. Prova comunque superata: non vogliamo essere cattivi. Pur con qualche riserva, concedetelo.
Meglio il soprano Gilda Fiume, dalla voce corposa, bel timbro e accenti patetici che hanno evidenziato un ottimo personaggio soprattutto nei duetti. Spigliata nella recitazione è stata vera protagonista nella sua aria di esordio che numerose stelle del passato hanno avuto l’intelligenza di riscoprire in recital. Belle le leggere variazioni che hanno increspato la cabaletta nella ripresa.
Gabriele Sagona già applaudito sabato nell’aria rara da buffo appena riscoperta ha piccola parte; comunque sia la prova vocale che la prestanza fisica hanno mostrato un ottima scelta interpretativa, autoritario come doveva essere tratteggiato questo Duce di Ferrara. Emerge la sua voce nella seconda frase del concertato del secondo finale.
Spettacolo cupo che ha smorzato anche gli eccessi comici di Don Gherardo, così da inserirlo il più possibile nella tragica azione scenica. Tanti fogli bianchi con gli scritti del Tasso sulla scena e tanti fogli rossi, fogli di passione che piovono dal cielo accusando il poeta davanti a tutti del suo amore verso Eleonora promessa invece al Duca di Mantova (no il Rigoletto non c’entra sapete tutti che il Duca di Mantova verdiano è un ripiego per non poter rappresentare il re dei francesi Francesco Primo). Due grate rosse come la passione creavano infine il carcere dell’ultimo atto. Essenziale quindi ma bello a vedersi lo spettacolo, con una precisa idea di fondo che ha dato un’atmosfera allucinata e cupa a tutta la vicenda.
Il coro ha cantato molto bene, senza le debolezze con cui aveva affrontato Betly, orchestra buona con il grosso difetto dell’assolo di corno naturale che introduce l’ultima aria. Il corno non ha azzeccato una sola nota. Non era difficile preparare 16 battute 16! Questa lacuna imbarazzante ha distrutto perlomeno all’inizio l’atmosfera creata da Donizetti con la sua appropriata tonalità di Do minore.
Pubblico entusiasta per tutti, davvero per tutti anche per il giovane direttore Sebastiano Rolli già apparso a questo festival. Oltre al merito della scelta dell’integralità dell’esecuzione ha approfondito l’accompagnamento più appropriato delle voci, vere protagoniste di questo sublime lavoro.
Si tratta davvero di un capolavoro seppure con qualche sbilanciamento. Complimenti al direttore artistico Francesco Bellotto per le scelte di questo interessante festival 2015. Complimenti anche ai redattori dei programmi di sala sempre completissimi con anche gli originali drammi a cui si ispirano i libretti in traduzione italiana. Nessun altro teatro li propone. Un festival quindi pienamente riuscito.
Fabio Tranchida