Die Feldmarschallin: Krassimira Stoyanova
Octavian: Sophie Koch
Sophie: Mojca Erdmann
Ochs: Günther Groissböck

Regia: Harry Kupfer
Direttore: Franz Welser-Möst
Wiener Philharmoniker

Il Rosenkavalier secondo Harry Kupfer, vate del Regietheater tedesco, era il primo piatto forte della stagione estiva salisburghese e possiamo dire che non ha certo deluso le aspettative. Regia di altissimo livello con scenografie essenziali e raffinate (una porta, il letto, lo specchio) ma rese efficaci dall’eleganza lucida di quello spazio astratto, lucido e diremmo quasi “metafisico” tipico di Kupfer. Eccezionale la coerenza stilistica di tutto l’allestimento, quasi rigorosamente limitato alle sole tinte bianche e nere. A dare un tocco in più rispetto ad altre sue regie passate (che oggi risulterebbero altrimenti polverose) è poi lo splendido sfondato olografico che campeggia sul fondo del larghissimo palcoscenico della Großes Festspielhaus. Esso dà ulteriore respiro e dimensione epocale alla scena. Ogni elemento è stato evidentemente scelto con estrema cura, nel tentativo (riuscito) di creare un sistema semiotico del tutto autonomo, ovvero in poche parole di creare un mondo a sé stante e perciò ancor più ricco di significazione di quello “fisico”, reale e concreto. L’operazione concettuale e simbolica è condotta interamente dai movimenti laterali, in entrata e in uscita, di questi pochi elementi scenici. Essi così facendo ben materializzano la Stimmung di quest’opera: l’inesorabile scorrere del tempo che sottrae ogni cosa al nostro saldo possesso. Tutto sfugge, ed alla fine, quando ogni elemento ha abbandonato la scena, la nostra Marescialla si ritrova a fronteggiare un significativo paesaggio immerso nella nebbia: ecco l’unica cosa eterna concessa all’uomo… il mistero dell’ultimo viaggio.

I due amanti
I due amanti

In questo caso (ed è quasi una eccezione per il Festival di Salisburgo) anche il casting è stato pressoché perfetto, col trionfo della Marschallin di Krassimira Stoyanova, voce fra le più dotate dei nostri giorni (ha volume, fraseggio, intonazione, mezze voci, gestualità: insomma ha tutto) nonché oramai interprete pienamente matura. A voler essere critici ad ogni costo forse non ha il phisique e le inflessioni di una Marescialla da antologia (qui a Salisburgo la memoria corre sempre ad una sola), ma per la scena attuale è ai primi posti. Perfetta anche Sophie Koch, che non richiede presentazioni nel ruolo di Octavian, padroneggiato in tutto il suo manierato vigore giovanile e dobbiamo dire anche molto credibile nel travestimento. Qualche dubbio in più invece su Sophie (Mojca Erdmann), scenicamente ideale per la figura bionda e angelica ma poi parzialmente deludente per la voce piccola e non particolarmente preziosa in acuto. Un capitolo a parte lo meriterebbe infine Günther Groissböck, il cui look piacente e l’impostazione da basso più profondo che buffo allontanano di molto il classico stereotipo del barone Ochs obeso e laido. Nel complesso anche questa versione più dongiovannesca è comunque funzionante, anche se certi eccessi del libretto risultano inevitabilmente incompatibili. Molto bene anche tutto il resto del cast, forse con l’unico anello debole in Faninal (Adrian Eröd), di cui è troppo evidente il costante sforzo in emissione.

La scena corale del primo atto
La scena corale del primo atto

Tutti hanno seguito diligentemente la bacchetta di Franz Welser-Möst (sostituto dell’infortunato Zubin Mehta), direttore come sempre molto preciso e puntuale ma che non pare voler far nulla per scrollarsi di dosso l’impressione di una sostanziale mancanza di genio. Troppo poco sfruttare il potenziale dei suoi Wiener Philharmoniker solo in qualche momento di valzer e o in lampi di sparuti soli strumentali. La serata con lui in un terreno che gli è così di casa scorre sempre in totale fluidità (“all’s recht am Schnürl so wie z’ Haus” direbbe Ochs!), il che nel Rosenkavalier è tanto necessario per mantenere l’aderenza alla teatralità. D’altro canto così non rimangono nemmeno momenti musicalmente particolarmente memorabili sulla via (il finale primo, la consegna della rosa, il terzetto sono gli esempi più classici da cui si sarebbe potuto attendere qualcosa di più). Per fortuna ci pensa la regia di Kupfer, e l’ottimo cast vocale, firmando una produzione che sarà in ogni caso da vedere e rivedere.

Alberto Luchetti