Parsifal: Nikolai Schukoff
Amfortas: Levente Mohàr
Gurnemanz: Kwangchul Youn
Kundry: Angela Denoke
Klingsor: Oleg Bryjak
Orchestra e coro della Bayerische Staatsoper
Direttore: Asher Fisch
Regia: Peter Konwitschny
In terra tedesca non c’è periodo pasquale senza almeno una buona rappresentazione del Parsifal di Wagner. Il teatro di Monaco, che tanto è legato alla figura del compositore, non si è tirato indietro nemmeno quest’anno proponendo due repliche dell’acclamato spettacolo di Peter Konwitschny. Sempre nuovo è invece il cast, che ha visto fra i nomi più interessanti quello di Asher Fisch in buca (i rapporti di questo direttore col teatro monacense sono stati piuttosto turbolenti, ma ora sembra tornato il sereno), il sempre affidabile Gurnemanz di Kwangchul Youn e l’efficace teatralità di Angela Denoke che si attaglia alla perfezione al personaggio di Kundry. Questi quattro nomi sono stati i pilastri d’angolo di uno spettacolo molto riuscito. Su di essi si sono appoggiati anche gli elementi meno solidi della produzione. L’attenzione particolare e continua tanto della regia quanto della direzione hanno permesso ad esempio di non lasciare mai abbandonato a se stesso Nikolai Schukoff, che con una emissione non felicissima (ricorda nei difetti Kaufmann senza averne tutti i pregi) avrebbe altrimenti rischiato il naufragio in un ruolo dispendio come quello del protagonista. Pur mancando di sfumature e tendendo a risolvere quasi tutti i passaggi nella spinta, il suo Parsifal non perde mai di efficacia sulla scena, sia come “reiner Tor” iniziale che come redentore finale (notevole la somiglianza col Cristo nel terzo atto). Nessuna “heilige Wunder”, nessun miracolo poteva invece sostenere la prova mediocre di Levente Molnàr come Amfortas, ruolo impossibile da risolvere senza volume né fraseggio (in sostanza la parte si riduce a due impegnative quasi-arie con ingombrante orchestra sottostante).
Proprio all’orchestra va peraltro un plauso assoluto, perché raramente capita di trovare un livello di “sinfonismo” così elevato nella compagine di un teatro d’opera. Merito ovviamente anche del direttore Asher Fisch, che cura ogni dettaglio tenendo costantemente alta la tensione, a volte lasciando un po’ da parte l’aspetto liturgico (soprattutto nel primo atto). Di livello eccellente anche il coro, trascurando le piccole incertezze che una ripresa di repertorio, preparata cioè da poche prove, reca inevitabilmente con se.

Chiudiamo parlando dell’aspetto a nostro avviso più rilevante della serata: la regia di Peter Konwitschny dimostra infatti innanzitutto l’estrema perizia di questo regista, che risolve tutto con poche simbologie ricorrenti: in particolare l’uso di fogli di carta di colori primari per definire cromaticamente ogni momento e di un grande albero, prima presente e candido e poi assente e carbonizzato, per rappresentare la fede nel Graal. Ottima la direzione dei protagonisti sulla scena, in particolare nel lungo duetto fra Parisfal e Kundry nel secondo atto, che ha esaltato il recitar-cantando di Angela Denoke, il suo splendido timbro autenticamente mezzosopranile ed anche le sue asprezze, altrove dannose (pensiamo al Rienzi romano dell’anno scorso). Nel complesso la regia sarebbe da manuale non fosse per qualche (minima) caduta di stile. A questo proposito citiamo il finale del secondo atto, quando Parsifal si fa colpire volontariamente dalla lancia: trovata non nuovissima e che ci pare molto controproducente per la “metafisica” specifica sottesa all’opera (la differenza fra Parsifal e Amfortas sta infatti proprio nel fatto che il primo non subisce la ferita corporalmente ma la sperimenta solo psicologicamente, così come nell’arte – e così Wagner fa apologia del suo ruolo di redentore – siamo portati alla compassione senza dover ricevere fisicamente il dolore). Chiaramente dettagli rispetto agli scempi di certe ispirate interpretazioni di questo capolavoro assoluto ed estremo dell’Occidente.
Alberto Luchetti