Johann Sebastian Bach: Oster-Oratorium BWV 249
Johann Sebastian Bach: Concerto in Do minore per 2 cembali BWV 1060
Johann Sebastian Bach: Cantata “O Ewigkeit, Du Donnerwort” BWV 20
Orchestra ed Ensemble vocale laVerdi Barocca
Direttore: Ruben Jais
Maestro dell’Ensemble vocale: Gianluca Capuano
Soprano: Céline Scheen
Controtenore: Filippo Mineccia
Tenore: Anicio Zorzi Giustiniani
Basso: Christian Senn
Cembali: Davide Pozzi e Franz Silvestri
È ormai il quinto anno consecutivo che siamo soliti festeggiare la Pasqua di Cristo insieme a laBarocca, e cioè insieme a Bach e al suo Osteroratorium. Data la relativa brevità dell’oratorio, ecco che ogni anno vi si accostano brani differenti, che rendono ogni ricorrenza unica e diversa. Quest’anno abbiamo avuto modo di ascoltare l’interessante Concerto in Do minore per 2 cembali BWV 1060 e soprattutto la notevole Cantata” O Ewigkeit, Du Donnerwort” BWV 20, che aveva più di un punto in comune con l’oratorio. Infatti, anche questa cantata è una meditazione incentrata sui concetti di eternità, giudizio finale e resurrezione.
Fin dal primo coro della cantata il cantus firmus dei soprani, sovrapposto all’ottava giusta cantata dalle altre voci, è simbolo dell’eternità. Così come ci suggerisce un senso di perpetuazione l’associazione bachiana fra un testo drammatico e a tratti feroce con una musica estremamente solare. Il tutto rafforzato dall’uso della “tromba a tirarsi”, un ibrido fra tromba e trombone che ben sottolinea il dramma. L’ultimo indizio giunge alla prima aria, affidata al tenore, che inizia proprio con la parola “Ewigkeit” (cioè appunto “eternità”) per poi soffermarsi sulla parola “Flammen” (le fiamme dell’inferno). Bach non poteva farsi scappare un’occasione così ghiotta ed ecco le fiamme prendere corpo con un’accesa coloratura, benissimo esaltata da Anicio Zorzi Giustiniani, bravo tenore fiorentino già protagonista in questa stagione sia del Messiah che della recentissimaPassione di Giovanni. Altrettanto drammatica (e sempre riguardante la salvazione dell’anima) è stata l’aria cantata dal controtenore Filippo Mineccia,anch’egli ospite fisso de laBarocca. Aria alquanto breve rispetto alla potenzialità del testo: Bach probabilmente voleva snellire l’impianto drammatico e condurci dritti al corale, ben interpretato dall’Ensemble del maestro Gianluca Capuano,sempre preciso e attento all’articolazione del testo. La presenza rischiosa di soli 16 coristi in tutto diventa il punto di forza di questo Ensemble, che giunge a livelli di perfezione sincronica davvero notevoli.
Nella seconda parte di questa cantata ecco tornare la presenza rivelatrice della “tromba a tirarsi”, questa volta chiaramente associata al giudizio divino nella seconda aria, affidata al sempre efficace bassoChristian Senn. Molto virtuosistico infine l’intreccio di voci nel duetto controtenore e tenore (in partitura indicato come Arie). Certo in brani come questo la mancanza di una voce bianca di contralto, che avrebbe dovuto sostenere la parte secondo le intenzioni di Bach, altera alquanto il rapporto delle voci, ma già avere un controtenore del tutto privo di falsetti come Mineccia è un passo avanti. Conclude questa cantata un breve corale, dove ancora in evidenza è la parola “Ewigkeit”, come a creare un percorso circolare tanto nella musica quanto nel testo.
Come intermezzo è stato eseguito il Concerto in Do minore per 2 cembali BWV 1060, parente del più celebre per 4 cembali (ispirato da un concerto vivaldiano) nonché uno dei 7 concerti per cembalo che Bach scrisse proprio per uno stupendo strumento: il clavicembalo Mietke arrivato proprio alla corte di Koten dove Bach soggiornava. Del concerto bachiano si fa apprezzare innanzitutto la virtuosistica scrittura contrappuntistica, che non lascia spazio ad alcuna pausa e si propone come un torrente (Bach appunto!) in piena. Il secondo movimento funge da pausa lirica, con anche qui suggestioni vivaldiane ben evidenti (pensiamo ai secondi movimenti delle brevi sinfonie che aprono le numerose opere del Prete Rosso). Proprio in questo secondo movimento gli archi procedono pizzicando quasi in punta di piedi per lasciare spazio al suono preciso e metallico delle tastiere. Davide Pozzi eFranz Silvestri hanno eseguito con precisione quasi meccanica (tanto nella migliore quanto nella peggior accezione di questo termine) i tre movimenti. Gli stessi erano impegnati al continuo negli altri due brani bachiani di questo concerto. Come piccolo bis viene eseguita nella versione per due cembali la Corrente dalla prima suite.
Giungiamo così preparati al cuore della serata, l’Oratorio di Pasqua, del quale Bach approntò due versioni, sebbene con poche differenze: l’originale del 1724 e quello rivisto del 1740, oggi eseguito. Nel primo e ultimo numero della complessa partitura ecco la presenza di tre trombe che solennizzano i movimenti, creando un chiaro contrasto con il secondo numero, nel quale si affaccia il malinconico suono dell’oboe in tempo lento. Diremmo addirittura che il primo coro, che segue in terza posizione, svolga così in realtà quasi il ruolo di una sorta di terzo movimento in una ipotetica sinfonia di apertura, vista la presenza accattivante delle tre trombe nell’annuncio della resurrezione “Denn unser Heil ist auferweckt” (Il nostro Salvatore si è ridestato). Questa impressione per lo meno è stata enfatizzata dalla direzione di Ruben Jais, in una partitura che anno dopo anno risulta sempre più in suo totale controllo. I recitativi, evitando la presenza del logorroico evangelista delle Passioni, procedono più spediti e con piglio quasi operistico tra i quattro protagonisti dell’Oratorio. Tre di essi sono già stati presentati nella cantata, dunque ci resta da citare solo il soprano Céline Scheen, impegnata in una bella aria introdotta e accompagnata dal suono dolce del flauto traverso (ottimo l’interprete, preciso nei numerosi abbellimenti e trilli di cui è costellata la parte). La voce del soprano è risultata ben educata e ricca di chiaroscuri, peccando solo in termini di volume (comunque qui non particolarmente necessario). Anche il tenore dialoga con i flauti dolci, in un tema cullante forse ispirato dalle parole “lieve sonno”, mentre il controtenore, nel ruolo di Maria Maddalena, ha a che fare con l’oboe d’amore. Un ulteriore plauso a Mineccia per la perfetta intonazione, del tutto priva di cedimenti nella fascia acuta e sempre ricca di espressione. Il basso si deve accontentare invece di un recitativo, non essendogli concessa alcuna aria in questa composizione. Con rapido passo drammatico si giunge così al canto di lode (“Lobgesang”), in cui timpani e trombe terminano l’oratorio ringraziando il Signore. Potremmo distinguere due parti distinte in questo corale, la seconda delle quali caratterizzata da un fugato che termina in una modernissima sospensione, che nulla concede alla retorica.
Dopo tanti applausi il competente direttore Jais ha concesso proprio il bis di questo fulmineo corale, completando un lungo ed interessante concerto, intelligente soprattutto nella scelta dei brani da accostare all’oratorio. Ultimo appuntamento con laBarocca il 17 maggio, con l’imperdibile Orfeo ed Euridice di Gluck, eseguito nella sua versione originale del 1762. Un ottimo modo per concludere una già notevole stagione.
Fabio Tranchida