Leila: Nino Machaidze
Nadir: Jesus Leon
Zurga: Vincenzo Taormina
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Direttore: Patrick Fournillier
Maestro del Coro: Martino Faggiani
Regia: Fabio Sparvoli
Scene: Giorgio Ricchelli
Occasione molto interessante è stata quella di assistere a questa raffinata opera francese nello storico teatro di Modena, intestato oggi a Luciano Pavarotti. Georges Bizet, allora ancora sconosciuto, compose questo suo primo capolavoro ancora ventiquattrenne utilizzando in piccola parte brevi composizioni realizzate durante il suo soggiorno romano per il Prix de Rome a Villa Medici. Genuina e ispirata è la grande invenzione melodica che viene donata a piene mani, per giunta riccamente pervasa da armonizzazioni audaci a sottolineare la componente esotica che si respira fin dalla prima nota. La prima si ebbe il 29 settembre del 1863 al Théâtre Lyrique di Parigi. Repliche fino a fine novembre e poi il lungo oblio finche l’opera, ormai morto l’autore, fu riesumata da Sonzogno in italiano. Da qui nacque una nuova vita per questa partitura, di indubbio fascino.
L’opera è suddivisa in 16 numeri musicali: dal Prélude iniziale al Final n°16 dell’atto Terzo, ma possiamo benissimo dire che questa suddivisione del “Catalogue des Morceaux” non rende giustizia all’opera, poiché Bizet, nonostante la giovane età, è andato oltre questi compartimenti stagni creando un discorso musicale molto articolato e di continuità drammatica, fondendo i vari pezzi e creando inaspettate sinergie tra tre protagonisti.
Il tenore Nadir, impersonato dal messicano Jesus Leon, ha modo di emergere soprattutto nel primo atto con il famoso duetto dove Nadir e Zurga si giurano eterna amicizia (una amicizia molto particolare a leggere bene tra le righe del libretto) e una Romance “A cette voix quel trouble” in un solare Do maggiore. Quella di Leon si è dimostrata voce sicura e ben intonata, capace di schiarirsi nelle note di passaggio senza mostrare alcuno sforzo. Sicuramente il ruolo meglio tratteggiato.
Zurga, impersonato dal baritono Vincenzo Taormina, che seguiamo fin dal suo esordio nell’Accademia del Teatro alla Scala, è sembrato alquanto rozzo nell’emissione, con problemi di tenuta vocale e un francese sotto la sufficienza. Nella sua complessa aria del terzo atto “L’orage s’est calmé” è risultato poco espressivo e monocorde, senza tutte le inflessioni prescritte da Bizet e mostrando sempre le già citate difficoltà di emissione.
Léila, cantata da Nino Machaidze, è un personaggio molto ambiguo: la Machaidze ha impiegato due atti per scaldare la voce. La sua voce era ancora fredda e discontinua nella Cavatine del secondo atto “Me voilà seule dans la nuit” non riuscendo a cantare delle arcate sonore complete ma frammentando le frasi liriche. Bene invece nel Duo con Zurga dove finalmente la personalità dell’eroina con il suo atto estremo di sacrificio ha permesso di far emergere il personaggio e far apprezzare la cantante. Forse un po’ tardi però.

Ottima la direzione del grande Patrick Fournillier, vero esperto dell’opera francese a cui si devono tanti recuperi in questo misconosciuto repertorio. L’orchestra sotto la sua bacchetta ha staccato tempi perfetti: pieni di brio nei numerosi interventi corali e di danza, languidi negli accompagnamenti delle arie principali. Le percussioni sia nel golfo mistico che dans le coulisse creavano un ipotetico mondo esotico in questa posticcia isola di Ceylon. Ottimi i fiati onnipresenti e carezzevoli i molti interventi dell’arpa. Il direttore con una piccola partitura a parte ha emendato i falsi storici dei due finali dell’atto II e atto III dell’opera. Soprattutto l’ultimo finale è stato giustamente ripristinato secondo le moderne visioni di Bizet con la fuga degli amanti e l’ultima perorazione di Zurga che solo rimaneva oltre il sipario ormai chiuso alle sue spalle in uno stato di sospensione. Proprio questo brano dal taglio così moderno era stato modificato per le successive riprese postume. Buona quindi la scelta filologica di ripristino.
Ma protagonista di quest’opera è anche il coro che ha numerosi interventi e squarci in tutta la partitura; preparato dal Maestro Martino Faggiani, il coro di Parma ha superato la prova con notevolissima professionalità, ottima intonazione e muovendosi con un organismo complesso sulla scena. La regia di Giorgio Sparvoli e le scene di Giorgio Ricchelli hanno con pochi elementi dato molta varietà ai tre atti. Una enorme testa di una divinità, un tempio assalito da rampicanti ed infine un grande albero pronto per il sacrificio della coppia. Menzione speciale anche agli 11 ballerini che hanno reso visivamente più interessante i momenti corali e i finali d’atto. Notevoli le coregrafie e interessanti i costumi preziosi e favolistici. Un oriente immaginario ma bello da vedersi con i ballerini dal corpo blu con strani copricapi che creavano grande effetto sulla scena.
Un’opera che dovrebbe essere in repertorio tanto è la raffinatezza musicale, che ha trovato in questa performance solo parziale successo proprio per via di una compagnia vocale di non eccellente levatura. Gli sforzi vanno comunque premiati e lo spettacolo è stato di notevole suggestione. Con questa produzione con replica questo martedì si conclude la stagione operistica del Teatro Comunale di Modena, una stagione a conti fatti molto positiva.
Fabio Tranchida