G. Verdi: Sinfonia, da Giovanna d’Arco
G. Verdi: “Patria oppressa”, da Macbeth
G. Verdi: Preludio Atto I, da La Traviata
G. Verdi: Ballabili, da Macbeth
G. Verdi: “O Signore dal tetto natio” da I Lombardi alla prima crociata
G. Verdi: Sinfonia, da Nabucco
G. Verdi: “Gli arredi festivi”, da Nabucco
G. Verdi: “Ma chi s’avanza”, da Nabucco
G. Verdi: “Va’ pensiero”, da Nabucco
G. Verdi: Parte quarta, da Nabucco

Orchestra e coro sinfonici di Milano Giuseppe Verdi
Direttore: Zhang Xian
Maestro del coro: Erina Gambarini

Nabucco: Lucio Gallo
Abigaille: Elena Lo Forte
Ismaele: Salvo Guastella
Zaccaria: Hong Shin Kil
Fenena: Erika Fonzar
Il Gran Sacerdote: Massimiliano Catellani
Abdallo: Francesco Frasca
Anna: Federica Vitali

 

Tre repliche da tutto esaurito assicurato per questo “ultimo” omaggio al Maestro di Bussetto, doveroso dall’orchestra che porta il suo nome in occasione della chiusa del bicentenario. Eppure, vedere la ressa di persone in coda per un ingresso in piedi alla recita domenicale ci ha comunque sorpreso, l’avevamo visto accadere solo per la Nona di Beethoven di capodanno. Come in quell’occasione siamo comunque davanti ad una serata speciale per l’Auditorium, lo dimostra la presenza (oggi come allora) della direttrice musicale Zhang Xian. Il programma messo insieme dall’energica cinese, con tante perle verdiane e non solo delle più scontate, era infatti un piatto succulento per tutti gli amanti dell’opera. Molti abitué del Teatro alla Scala erano presenti, rompendo quella strana separazione in comparti stagni di gran parte del pubblico musicale milanese.

Tutto comincia con la rara esecuzione di un’opera verdiana che proprio in questi anni sta tornando in auge: si tratta della Giovanna d’Arco, successo salisburghese dell’estate scorsa (grazie ai nomi illustri Meli-Netrebko-Domingo) e, secondo alcune voci, possibile prima inaugurazione scaligera di Alexander Pereira il 7 dicembre 2015. Vedremo se i rumors saranno confermati. La colpa di tanti anni di oblio per quest’opera è probabilmente ascrivibile in primis al libretto di Temistocle Solera, tagliato con l’accetta e irrispettoso di ogni particolare schilleriano. Anche la musica peraltro è fra le più sistematicamente bandistiche di tutta la produzione verdiana, eppure questo può risultare tutt’altro che un demerito. Se si interpreta infatti alla lettera il pulsare della scrittura del Verdi giovanile, senza ammorbidirlo in sfumature del tutto estranee, si arriva ai risultati ottimali a cui è giunto ad esempio James Levine nell’edizione Emi di cui consigliamo l’ascolto a chi già non la conoscesse. L’orchestra Verdi ha seguito questa linea interpretativa, eseguendo con molta verve la Sinfonia dell’opera, che si articola in tre momenti: un corrusco inizio, quasi di tempesta (si dice che Verdi abbia composto questo brano attraversando la Gola del Furlo), un pregevole interludio di fiati (bravi i solisti de laVerdi) che rincorrendosi descrivono Giovanna ed infine la marcia finale che l’orchestra ha attaccato con giusto spirito.

Il secondo brano proposto da orchestra e coro è invece l’unico a non appartenere allo stile degli anni di galera. Si tratterebbe di un coro del Macbeth, opera del 1847, ma in questo caso siamo di fronte ad una delle revisioni drastiche che Verdi operò quando ebbe modo di riprendere in mano le sue opere. Avrete capito che trattasi di “Patria Oppressa”, il cui status di pezzo di eccezionale importanza fu immediatamente riconosciuto da Verdi stesso già nella prima versione del 1847. Per esso egli chiese a Piave di sostituire i soliti decasillabi dei cori risorgimentali precedenti con degli ottonari. L’effetto è già rivoluzionario, eppure, non soddisfatto, egli rinnovò totalmente anche l’accompagnamento nella revisione del 1865 per il massimo teatro parigino. Il coro ne guadagna soprattutto in drammaticità, con le caratteristiche acciaccature, simbolo del pianto e dell’afflizione come sarà anche del Don Carlos. Il coro de LaVerdi si è distinto per la compattezza delle voci e la maestosità dell’insieme, in un pezzo di riferimento per ogni compagine italiana. Sempre dalla revisione del Macbeth originano i notevoli Ballabili, gli unici (insieme a quelli dell’Aida) ad avere un ruolo drammatico e dunque ad essere inseriti da Verdi anche nello spartito delle versioni italiane. Essi infatti sottolineano la parte fantastica dell’opera e introducono un personaggio shakespiriano importante come Ecate. Sono tre brillanti movimenti, l’ultimo dei quali è un grandioso valzer infernale in 3/4 (non se ne fosse appropriato Offenbach nel suo Orphée, egli avrebbe forse potuto ricorrere perfino ad un galop infernal in 2/4!). Bisogna dire che l’attacco di questo ultimo movimento in valzer nell’esecuzione della Xian è stato un poco sporco e la velocità vorticosa del brano non del tutto rispettata. Forse sarebbe stata necessaria qualche prova in più per rispettare le indicazioni verdiane in un brano particolarmente virtuosistico. Meglio l’altrettanto tripartito tempo del Preludio all’Atto I de La Traviata, reso con eleganza e leggerezza, come delicato e suggestivo è stato l’ultimo brano della prima parte. Si trattava di un altro coro celeberrimo, “O signore del tetto natio”, da sempre considerato il “fratello minore” del “Va’ pensiero”, del quale non raggiunge mai la compattezza, invaso com’è dai trilli dei flauti che inficiano in parte l’accumulo drammatico.

La seconda parte ha sostituito il percorso rapsodico della prima con una selezione corposa interamente tratta dall’opera Nabucodonosor, primo vero successo del bussetano, passato alle cronache sotto l’abbreviazione Nabucco. La Sinfonia è aperta dai tre tromboni, che da subito conferiscono il senso sacrale che caratterizza tutta l’opera per poi lanciarsi in melodie bandistiche: un crescendo squadrato ,una citazione del duetto Abigaille e Nabucco e una citazione del “Va’ pensiero” in tempo ternario come variazione. Al termine della sinfonia segue subito, stasera come nell’opera, il coro “Gli arredi festivi”, non celebre e d’effetto quanto il “Va’ pensiero” ma sicuramente di costruzione più complessa e affascinante. Interessante l’ingresso delle voci femminili, con l’arpa a sostenere, e di assoluto pregio il rinforzo che ha questa stessa melodia quando se ne appropria l’intero coro. Tutte finezze che esaltano la prova del coro de laVerdi, istruito come sempre dalla competente Erina Gambarini, che ha saputo istruire le masse arrivando a risultati notevoli.

Giunge quindi il momento dei solisti: Lucio Gallo ed Elena Lo Forte hanno costituito un ottimo duetto Nabucco-Abigaille. Non ricordavamo la voce di Gallo di tale potenza, con la quale ha dipinto un efficace regnante in schiavitù, doloroso e affranto. Ottima per intensità la cadenza del tempo di mezzo. Di pari passo è andata la soprano, che ha superato i notevoli scogli della parte (la povera Strepponi si ritirò dalle scene dopo avere dato gli ultimi singulti nella parte di Abigaille) senza sfigurare. Viene quindi eseguito nella sua integrità l’atto IV dell’opera. Non abbiamo capito perché scritturare sei solisti per parti minori che si sono risolte in un paio di frasi, in alcuni casi addirittura solo per l’insieme “Immenso Jehova”. Si poteva chiedere l’aiuto di qualche bravo corista. In ogni caso nell’aria di Nabucco Gallo ha mostrato qualche affaticamento, specialmente per l’impegnativa cabaletta, dove deve tenere testa a tutto il coro di guerrieri assiri. Erika Fonzar nel ruolo di Fenena ha poi eseguito con precisione la sua aria nel finale IV, prima dell’entrata in scena della morente Abigaile-Lo Forte, che si è avvelenata fuori scena dopo aver compreso la gravità dei suoi misfatti. Molto espressivo questo passaggio, non impegnativo dal punto di vista vocale ma molto da quello drammatico. Gran finale concertato di sicuro effetto, senza sbavature, di enorme intensità e dunque con meritata esplosione di applausi a suggellare il tutto.

Siamo molto felici di questo tipo di concerti e non capiamo perché un’orchestra che porta il nome di Verdi non organizzi più spesso queste esecuzioni, magari scegliendo di portare sul palco anche in forma di concerto opere rare come Il Corsaro, Alzira o Aroldo. Come si vede il pubblico risponde entusiasta, estendendosi anche oltre gli abbonati. La direttrice Xian ci ha regalato come bis la ripetizione (un po’ scontata) del “Va’ pensiero”, questa volta facendo cantare anche il pubblico ed elargendo tante indicazioni di dinamica per amalgamarlo il più possibile al coro professionale. Senz’altro non una serata come le altre.

 

Fabio Tranchida