Argirio: Mert Süngü
Tancredi: Teresa Iervolino
Amenaide: Sofia Mchedlishvili
Isaura: Raffaella Lupinacci
Orbazzano: Alessandro Spina

Orchestra lirica de I Pomeriggi Musicali
Coro Circuito Lirico Lombardo
Direttore: Francesco Cilluffo
Regia: Francesco Frongia 

Capolavoro del genere serio di un musicista appena ventenne che però aveva alle spalle già ben 9 opere: questo è il Tancredi che ha il dono di una freschezza e una immediatezza tanto apprezzata da un milanese d’adozione come Stendhal. Se confrontiamo quest’opera alla Semiramide ultimo successo italiano (sempre su parole del Rossi e sempre alla Fenice), notiamo l’evoluzione di questo genio capace di creare strutture musicali sempre più articolate. Ciò che apprezziamo in Tancredi è proprio la naturalezza senza artifici che permette alle melodie di sgorgare a getto continuo affascinando ancora oggi dopo 200 anni giusti l’ascoltatore.

L’opera esiste in tre versioni autografe curate dall’autore: la prima appunto per Venezia, poi fondamentale quella ferrarese a cui fa riferimento l’odierna riproposta con il finale tragico, e infine un mix delle due versioni che approderà al teatro Re di Milano nel 1814.

Il finale tragico ferrarese è tra le creazioni fondamentali dell’opera italiana per l’aderenza perfetta tra musica e testo: non verrà apprezzato dal pubblico e quindi sarà sostituito con il più tradizionale finale a vaudeville dove i tre protagonisti intonano una strofetta ciascuno. Ottima quindi la scelta del Circuito Lombardo di proporre il finale ferrarese di raro ascolto. L’autografo dell’opera si conserva eccezionalmente al Museo del Teatro alla Scala ed è stato utilizzato per ricavare la lezione originale dell’opera, riscoprendo nel 1977 le due originali arie di Argirio che erano state sostituite da due più semplici non di Rossini.

Sembra molto probabile che Rossini abbia ascoltato sempre alla Scala il Tancredi di Luigi Romanelli musicato da Pavesi poiché in quei mesi stava allestendo la sua fortunata Pietra del paragone (o meglio SIGILLARA!) che gli valse l’esonero dal servizio militare. Il rapporto comunque tra i due libretti di Romanelli e Rossi sono molto vaghi (in Romanelli ad esempio Orbazzano resta in vita fino alla conclusione!).

Nelle prime due rappresentazioni veneziane il sipario calò prima della metà del secondo atto per indisposizione delle due cantanti; molto probabilmente il contralto Adelaide Malanotte non sarebbe riuscita a cantare l’impegnativa Gran Scena di Tancredi. Nel complesso tuttavia le recensioni furono già favorevoli a Rossini. La terza replica fu completa come esecuzione, ma la Malanotte non era soddisfatta della sua cavatina  “Tu che accendi … Di tanti palpiti” che riteneva troppo semplice e breve (la brevità gran pregio…) e volle una sostituzione con la più elaborata “Dolci d’amor parole” con effetto eco e con assolo del primo violino , un brano di vero virtuosismo.

La Malanotte certo non poteva sapere che il brano da lei scartato sarebbe diventato il più popolare dell’opera e tra i più famosi di Rossini stesso.

Pietro Tordan il primo Argirio, forse non fu in grado di cantare la sua seconda aria all’apertura del secondo atto e sicuramente la eliminò nella successiva esecuzione ferrarese. Nessuno più l’ascoltò nel’800 e purtroppo anche qui a Pavia si è scelto di tagliarla. Un vero peccato imputabile al direttore Francesco Cilluffo forse non conscio che si tratti di un vero e proprio capolavoro: un’aria dove il padre è combattuto tra il dovere di condannare a morte la figlia e il desiderio di salvarla: un vero tour de force per il tenore scortato dal coro di cavalieri per un effetto magnifico di pregnanza drammatica. Non condividiamo affatto questo taglio che nuoce alla drammaturgia dell’opera e soprattutto ci priva di un perla musicale.

Certo forse il nostro tenore Mert Süngü non sarebbe stato in grado di padroneggiare questo terribile scoglio che non rinuncia a portare la voce tenorile alle vette del re acuto più volte e a dover emergere sul coro che fa da costante pertichino. Questo tenore turco ha superato senza difficoltà invece l’aria del primo atto “Pensa che sei mia figlia” con voce robusta sebbene non dotata di sufficiente squillo.

Completamente fuori parte l’Amenaide di Sofia Mchedlishvili: ha trasformato un personaggio classico in una soubrette desiderosa di mettere in rilievo una coloratura per nulla smagliante. Forse solo l’aria del carcere che seguiva al notevole preludio è stata cantata con la giusta atmosfera e pathos.

T. Iervolino
T. Iervolino

La migliore interprete è risultata dunque il contralto Teresa Iervolino, dall’ottima dizione e sicura nella scabrosa parte che affonda nel registro  basso: solo un vero contralto può affrontare la parte emula delle grandi voci dai castrati che ormai scarseggiavano al tempo in cui Rossini componeva (ebbe solo due occasioni di scrivere per la vera voce di castrato: l’opera Aureliano in Palmira e la cantata Il Vero Omaggio, sempre per il Velluti). Tancredi è il vero protagonista, un eroe neoclassico condannato all’esilio e alla perdita di tutti i suoi beni e non ultimo la perdita del suo grande amore: anche i due duetti con Amenaide parlano di dolore più che di amore, parlano di addio e di lontananza lasciando tutto in sospeso fino alla tarda riconciliazione finale. La Iervolino ha scavato nel personaggio imprimendo lo stato di sofferenza ai versi cantati e riuscendo a dipanare una coloratura che potremmo definire drammatica e non esornativa affatto. Brava anche nella Gran Scena del secondo atto e nella seguente modernissima morte giocando su i mezzi toni fino all’ultimo sospiro e il commento degli archi tremolanti in orchestra.

Orchestra puntuale e precisa fin dalla sinfonia (con il primo tempo troppo veloce per contrastare con il resto del movimento). Buona la scelta dei tempi nel resto della composizione e buono il rapporto con le voci. Il coro (solo maschile) era richiamato all’opera in numerosi squarci di facile intonazione per le armonie semplici con cui scrive Rossini, ma nondimeno si è rivelato corretto e ben intonato.

Un punto veramente negativo dell’allestimento è stato lo spettacolo naif del regista Francesco Frongia, che leggendo nel libretto la parola Siracusa non ha pensato di meglio che trasformare il Medioevo del 1005 in una ridicola festa paesana con tanto di pupi e finti paladini. Avremmo avuto bisogno di paladini veri invece che i rossi e neri costumi tradizionali siciliani e un Tancredi che entra in scena vestito da pescatore riparando le reti da pesca. Luminaria da festa paesana, tendine varie e teatro dei pupi… questi gli elementi portanti di uno spettacolo caricaturale. La bellezza del teatro di Pavia avrebbe dovuto ispirare il regista, infatti l’epoca di costruzione del teatro Fraschini è proprio contemporanea alla tragedia di Voltaire da cui è tratta l’opera. Pur non volendo arrivare a tanto, ci si sarebbe dovuti inspirare alle numerose trasposizioni dell’opera operate dal grande regista Pier Luigi Pizzi, l’unico forse in grado nella sua essenzialità di riproporre il grande spirito del teatro serio rossiniano.

Raffaella Lupinacci in mezzo al coro in abiti del ventennio
Raffaella Lupinacci in mezzo al coro, in abiti del ventennio

Per amor di completezza vi invitiamo a cercare un’ora di musica del Tancredi difficilmente ascoltabile e presente nell’edizione critica della partitura, un’ora di musica di un periodo fervido per Rossini.
1)Cavatina Amenaide “Ah se pur morir deggio
2)Gran Scena di Tancredi nella prima versione di Venezia “Ah!Che scordar non so
3)Finale lieto
(Tutti e questi tre pezzi si trovano nella notevole registrazione della RCA con Eva Mei e la Kasarova)

Le due arie (forse) non originali di Argirio presenti nella produzione del teatro Re di Milano e da li eseguite per tutto il secolo:
4)Aria Argirio “Se ostinata ancor non cedi
5)Aria Argirio con Coro “Al campo mi chiama
(Della prima trovate una versione di Ernesto Palacio mentre della seconda, a mia conoscenza,non esiste registrazione)

Ed infine due arie dei personaggi minori:
6)Aria di Isaura “
Tu che i miseri conforti” stesso testo ma musica differente
7)Aria Roggiero “Torni d’amor la face” dove Roggiero compare questa volta come tenore.

Merita un discorso a parte l’aria “Il braccio mio conquise” che soleva concludere l’opera quando l’interprete era la grande Pasta. L’aria deriva dall’opera Il Conte di Lenosse di Giuseppe Nicolini, scritta per il Teatro Ducale di Parma nel 1801. Di questa interpolazione abbiamo il beneplacito di Rossini che stese in due momenti differenti due varianti vocali alla versione originale. Aria molto famosa all’epoca, ne abbiamo testimonianza dalla parodia che ne fece Donizetti ne Le convenienze e inconvenienze teatrali: Mamma Agata infatti, dopo la caricatura di “Assisa a piè d’un sacco” (Otello), canta in falsetto “Or che son vicino a te” con effetto comicissimo che noi adesso possiamo apprezzare solo in parte poiché non conosciamo l’originale di cui non esiste alcuna registrazione. Speriamo che presto tutti questi brani di cui abbiamo parlato esistano per documentare tutte le versioni di questo poliedrico capolavoro di cui l’esecuzione pavese ha messo in luce solo alcuni aspetti.

Prossimo appuntamento con il teatro Fraschini sarà l’Olandese Volante di cui vi daremo pronta e dettagliata analisi.

Fabio Tranchida

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