G. Verdi: Sinfonia da La Battaglia di Legnano
G. Verdi: “Salve Maria”, Preludio al Finale Atto III da I Lombardi alla prima Crociata
G. Verdi: Sinfonia, “Oh chi torna l’ardente pensiero” da Oberto, Conte di San Bonifacio
G. Verdi: Adagio per tromba
G. Verdi: “Ave Maria” da Otello
G. Verdi: “Chi del gitano…”, “Stride la vampa” da Il Trovatore
G. Verdi: Preludio, “Come in quest’ora bruna” da Simon Boccanegra
G. Verdi: Preludio, “Fu la sorte dell’armi a’ tuoi funesta”, Finale Atto II da Aida
Orchestra e coro sinfonici Giuseppe Verdi di Milano
Direttore: Jader Bignamini
Maestro del Coro: Erina Gambarini
Soprano: Chiara Taigi
Mezzosoprano: Tiziana Carraro
Un’orchestra che si chiama laVerdi non poteva esimersi dal festeggiare degnamente il maestro di Busseto nel giorno del suo bicentenario, il 10 ottobre 2013. Non poteva mancare la bacchetta di Jader Bignamini, autentico prodotto del vivaio de laVerdi oramai noto come grande protagonista della vita musicale e con già meriti riconosciuti nella direzione verdiana (è impegnato proprio ora nel lodato Simon Boccanegra del Festival Verdi a Parma). Dopo il primo omaggio del mese scorso, che aveva visto l’alternarsi di arie e ouvertures, oggi laVerdi non si fa mancare neanche il sostegno del suo coro, diretto come sempre da Erina Gambarini. La parte vocale è completata da soprano e mezzosoprano, rispettivamente Chiara Taigi e Tiziana Carraro. Ne risulta dunque l’occasione di coprire un programma molto vario, che coniuga pagine celebri ad altre meno note, coprendo l’enorme gamma delle dimensioni drammatiche verdiane: dai grandi pezzi corali agli intensi momenti di intimità, con sempre il sicuro effetto di cui Verdi è una garanzia.
Raffinata ad esempio è la scelta di aprire il concerto con la sinfonia della Battaglia di Legnano, che, sebbene sia opera contenutisticamente italiana al 100%, è formalmente figlia delle influenze francesi che si manifestano in Verdi in una ricca e suadente orchestrazione. Ottimi gli ottoni che imperiosamente espongono il primo tema, così da enfatizzare l’entrata del dolcissimo secondo tema, ripetuto con una filigrana dei flauti. L’orchestra, sapientemente guidata da Jader Bignamini, è stata in grado di sottolineare le preziosità timbriche e stilistiche di questo importante lavoro. Il secondo tema per esempio è riconoscibilissimo come verdiano, in quanto possiede uno dei suoi marchi di fabbrica: il trillo introduttivo, sempre associato ai momenti gioiosi. Questo trillo è già ravvisabile come stilema nella prima ouverture dell’Oberto, nella scena del Brindisi nel Macbeth e nel famoso Preludio della Traviata: quasi una variazione sul tema. E gli esempi potrebbero essere ancora molti. Un altro raffinato espediente presente e ben evidenziato nella sinfonia della Battaglia di Legnano è la ripetizione di due temi prima presentati indipendentemente e poi sovrapposti verticalmente, procedimento reso possibile dalla condivisione della medesima armonia di base. E’ la stessa forma utilizzata nel più celebre finale della prima scena dell’atto primo di Un Ballo in Maschera. In realtà si tratta di una tecnica introdotta da Giacomo Meyerbeer e da lui stesso perfezionata fino al parossismo ne L’Étoile du Nord, dove si arriva a ben quattro temi sovrapposti.

Dopo questa perla alquanto rara è salita in cattedra Chiara Taigi, che ha presentato due (delle quattro scritte da Verdi!) preghiere alla Vergine molto distanti fra loro: la giovanile “Salve Regina” (il pezzo più raffinato dei Lombardi, meritorio quindi di essere traslato in toto nella Jérusalem) e la più matura e famosa “Ave Maria” dell’Otello. Notevole soprattutto il registro basso del soprano, sintomo di una voce ben educata e piena di ombreggiature nei suoi smorzando. Nel secondo brano la Taigi si inginocchia come se fossimo a teatro e canta creando grande tensione, emettendo una splendida nota tenuta alla parola “prega” e concludendo con la bella salita finale fino ad “Ave”, snodando la voce in tutta la sua estensione. Anche qui abbiamo così l’occasione di vedere l’evoluzione stilistica di Verdi, scoprendo quanto questa seconda preghiera sia più articolata, più pregnante e più prosodica della precedente, guadagnandone in realismo ed intensità nel susseguirsi delle invocazioni e nella ripetizione finale, che imprime nella mente di Desdemona (e nelle nostre) la parte centrale della prece.
Sempre fra le cose più meritevoli e delicate dei Lombardi va a pescare il pezzo successivo, proposto dalla sola orchestra con l’ausilio del violino di Luca Santaniello. Si tratta del preludio che precede il terzetto del battesimo nel terzo atto. A differenza della preghiera, questo pezzo è stato comunque eliminato nella versione parigina, mostrandoci che Verdi si sarebbe sentito evidentemente in imbarazzo a proporre ai ricercati francesi una musica che è sostanzialmente una banale filiazione della scuola di Paganini, dove la difficoltà esecutiva (molto preciso Santaniello nell’esecuzione) non si traduce sempre in bellezza. Bisogna tuttavia sottolineare che una particella della melodia di questo preludio si è salvata per essere trasfusa in Jérusalem: sono poche battute che riascoltiamo come fil rouge, un particella ricreata e rigenerata continuamente. La scorpacciata di rarità della serata non è comunque finita qui. Dapprima ascoltiamo la sinfonia della prima opera di Verdi, l’Oberto conte di San Bonifacio, coi bellissimi colori nell’orchestra e l’ottimo ritmo, ravvivato da Bignamini nella coda finale in tripudio di trilli. Ad ascoltare questa sinfonia non penseremmo di certo alla tragicità dell’opera stessa, eppure la musica di base è la stessa. Quindi, e con questo si chiude la prima parte, ascoltiamo l’Adagio per Tromba che è una vera rarità: venne infatti presentato in prima italiana in tempi moderni nella stagione 2001/2002, con la tromba di Gianluigi Petrarulo e la direzione di Riccardo Chailly. Oggi ce lo propone Alessandro Caruana, che ha suonato bene quest’assolo di cui pensiamo Verdi si ricordò quando compose il primo tema dell’Ouverture dello Stiffelio.
Nella seconda parte ecco farsi avanti il coro, subito al gran completo in “Chi del gitano”, dove si dà sfogo anche alla brillantezza dell’orchestra, con tanto di triangolo e incudini. Seguendo le tracce del Trovatore è molto brava e in parte l’Azucena di Tiziana Carraro in “Stride la vampa”: fortissimi e pianissimi ben misurati in una scansione quasi allucinata, con la voce che si fa imperiosa alle parole “che s’alza”. Possiamo solo immaginare cosa avrebbe creato la sua voce nel proseguo della scena, con il racconto a Manrico, ma sfortunatamente non essendoci un tenore non è stato proposto. Saltiamo invece bruscamente d’atmosfera e ci ritroviamo accarezzati dalla brezza marina e cullati dalle morbide onde: ecco la raffigurazione in musica suggerita dal preludio del Simon Boccanegra, che Bignamini ha evidentemente sentito con particolarmente intensità. Come d’altronde doveva sentirlo Verdi, che conosceva bene i luoghi del Simone, passando regolarmente tutti gli inverni in quel di Genova. Qui davvero la prova del’orchestra è stata notevole per tutti i preziosismi ricamati da legni e archi. Per chi, come il sottoscritto, è cresciuto ascoltando la successiva aria “Come in quest’ora bruna” nell’interpretazione della Ricciarelli si troverà spiazzato nel sentire la versione che la Taigi ha cantato questa sera. Là tutto era acquerellato, qui invece scopriamo una Amelia dai toni più vividi, come dipinta ad olio. Una interpretazione non priva di un suo fascino, almeno se considerata nei limiti della singola aria.
Raggiungiamo così un passo alla volta il gran finale della serata, con l’arrivo ai brani più noti. Immancabile l’Aida insomma, immancabile la scena del Trionfo, ma prima c’è spazio per il preludio e per il duetto Aida-Amneris. In una serata di strizzate d’occhio e commemorazioni come questa non sarebbe stato male proporre, al posto del consueto preludio (ben giocato nelle atmosfere ma pur sempre un po’ sterile così a sé stante), una rarità che pochi conoscono: la vera e propria sinfonia estesa che Verdi scrisse ma tagliò per ragioni sceniche (non sussistenti in sede di concerto). Il duetto è invece una scelta assolutamente azzeccata perché permette alle due belle voci di incontrarsi in una delle pagine più interessanti e complesse della musica vocale verdiana. Imperiosa la frase di Amneris “Cadde trafitto a morte”, che la Carraro ha superbamente recitato facendo leva sul suo registro brunito. La Taigi, vittima della figlia del Faraone, piange e implora con una voce limpida e sicura in tutta la sua estensione. Il coro interviene nella fulminea stretta del duetto (riscritta da Verdi durante l’anno in cui l’opera dovette aspettare di essere rappresentata) finché Aida, rimasta sola, invoca “Numi pietà del mio martir” terminando la scena con un preciso filato in pianissimo. Come previsto, il coro chiude fastosamente la serata nel grandioso finale del secondo atto. Di possente effetto la marcia trionfale con le quattro trombe distribuite per stereofonia agli angoli dell’auditorium. Dopo l’intero balletto, che non ha mai perso tensione, ecco la ripresa del coro. Pezzo magistrale che porta ai massimi risultati le scoperte effettistiche sperimentate dalla Fausta e dal Poliuto di Donizetti.
E’ certamente questo il modo più appropriato per sigillare una grande serata di festeggiamenti (a differenza della scialba recita dell’epistolario della Scala). Tantissimi gli applausi, veramente intensi e prolungati, tanto che la Taigi è stata praticamente costretta a concedere (peraltro volentieri) un bis: “La Verginie degli Angeli” dalla Forza del Destino, altra preghiera di raffinata esecuzione e sicura emozione.
Chiudiamo nell’unico modo possibile… unendoci anche noi al coro: Auguri Peppino!
Fabio Tranchida