Simone: Roberto Frontali
Fiesco: Giacomo Prestia
Amelia: Carmela Remigio
Gabriele: Diego Torre
Paolo: Marco Caria

Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore: Jader Bignamini
Regia: Hugo de Ana
Luci: Valerio Alfieri
Maestro del coro: Martino Faggiani

Continuano i festeggiamenti per il bicentenario verdiano, soprattutto in questi giorni a ridosso del compleanno del maestro. La “sua” Parma lo omaggia in particolare con una ripresa del Simon Boccanegra nella regia realizzata nel 2004 dal grandissimo Hugo de Ana, uno dei più importanti registi operistici in attività, distintosi per l’unica capacità di unire regia, scene e costumi in una sinergia che dà grande compattezza e originalità ai suoi spettacoli.

Tutta la scena era costituita da 6 pannelli girevoli che a tempo debito mostravano degli altorilievi trecenteschi come portali di una grande cattedrale dove le scene più varie erano realizzate con rara maestria. Tutte le scene erano virate da una luce blu cobalto che suggeriva sia la presenza del mare ligure che la semi oscurità di una vicenda drammatica dai pochi spiragli di luce. La trama e le atmosfere dell’opera sono infatti molto cupe, un’attrazione irresistibile per Verdi che pure, quando vide rappresentati i suoi Due Foscari (altra opera “marina” o meglio lagunare), ebbe a dire che la vicenda fosse troppo uniformemente tetra e che non avrebbe fatto più un’opera così avara di varietà. In effetti la prima versione del Simone, che risale al 1857, sembra ripetere l’errore e di fatti l’opera ebbe un insuccesso pari quasi a quello della Traviata. A differenza di quest’ultima, tuttavia, il Boccanegra dovette aspettare ben 24 anni (cioè fino al 1881) per un completo rifacimento che la portò ad essere un vero capolavoro. I pezzi vecchi sono ancoro ben visibili nella loro stretta maglia armonica ma la preziosità dei nuovi inserti e la rielaborazione profonda rendono quest’opera una delle più raffinate. Evidentemente fondamentale è stato anche il contributo di Arrigo Boito, in una sorta di “prova generale” delle future collaborazioni (il personaggio di Paolo ad esempio è già un piccolo Jago).

Protagonista vocale è stato un grande Roberto Frontali, irriconoscibile sia da giovane nel Prologo che anziano durante gli Atti con quella folta capigliatura e la barba posticcia. La voce importante e drammatica forse non ha più quella potenza sonora che ci saremmo aspettati da un imperioso doge; meglio i momenti patetici con la ritrovata figlia, un duetto all’apice delle realizzazioni verdiane. Al termine di questo duetto l’orchestra riprende in fortissimo il tema principale e Frontali prima canta a voce spiegata “Oh Figlia”, poi, mentre l’orchestra si esaurisce e Amelia è già lontana, ecco che il baritono canta ancora “Oh figlia” ma questa volta con immensa soavità e tenendo la nota veramente a lungo. Momento magico. Frontali è stato ottimo attore dal momento che sugge alla coppa avvelenata. Ha rappresentato bene la sofferenza fisica e la sua morte è stata ben preparata. Grande attore come deve essere stato Victor Maurel protagonista della riveduta partitura che successivamente collaborò con Verdi sia per Otello che per Falstaff.

Roberto Frontali come Simon Boccanegra
Roberto Frontali come Simon Boccanegra

Veramente possente è stata anche la voce di Giacomo Prestia, che ha tratteggiato un Fiesco cupo e minaccioso. Ottima l’aria “Il lacerato spirito”, davvero straziante con il coro funebre ad amplificare lo spettro sonoro, e ottima poco dopo l’esplosione del duetto con Simone, dove il regista de Ana immagina un vero e proprio duello fra i due prima con pugnali e poi con le spade. Una scelta che ravviva la staticità dell’insieme e crea nuova tensione. Fiesco-Prestia ritorna protagonista vero alla fine dell’opera con il duettino “Come un fantasima” voce calibrata e gara di bravura tra due voci gravi.

Carmela Remigio è dotata di una voce importante, cantabile e uniforme in tutta l’ampiezza. Non è evidentemente nata per i ruoli verdiani che sta cominciando ad affrontare in questi ultimi anni, ma i risultati sono sempre di alto livello e senza apparenti forzature. Sotto una magica filigrana intessuta da Verdi ha intonato “Come in quest’ora bruna” con grande facilità e senza tema del si bemolle finale. La Remigio interpretava una parte rivista appositamente per il soprano Anna d’Angeri che era stata l’anno prima protagonista del Figliuol Prodigo di Ponchielli.

Adorno (Torre) e Amelia (Remigio)
Adorno (Torre) e Amelia (Remigio)

Il tenore in questa composizione non ha grande parte, eppure Diego Torre nei panni di Adorno ha saputo farsi notare, ottenendo gli unici applausi in corso d’opera dopo la sua aria. Applausi meritati per l’impegno ma forse eccessivi per una voce che difettava di squillo, risultando ben educata ma perennemente ingolata. Non ha comunque corso pericoli né nel duetto con Amelia né nella baldanzosa cabaletta “Si, si dell’ara il giubilo”, risultando piacevole nel Terzetto del Finale Secondo, dove con molta espressione ha cantato “Perdon, Amelia Inodmito geloso amor fu il mio”.

Paolo, interpretato da Marco Caria, è riuscito sufficientemente mefistofelico; il suo è un ruolo che ha rilievo, oltre che nel prologo, nel grande finale primo, dove la sua auto maledizione è risultata veramente drammatica (anche per merito della regia di de Ana, spettacolare nelle scene corali).

Se a livello vocale quindi era di grande qualità, superlativa è stata proprio la regia. Alcuni elementi richiamavano il grande Trovatore scaligero: i rilievi, il blu costante in tutte le scene, alcuni elementi scenici che identificavano tutto il quadro come il modellino della nave o la coppa avvelenata. Da ricordare i preziosissimi costumi tutti dai colori cangianti, con inserti preziosi (dalle pellicce per Fiesco alle pietre dure per le ancelle di Amelia che sembravano uscire da un dipinto bizantino). Il costume del Doge era arricchito da una filigrana dorata sembrando quasi una libera interpretazione di un quadro di Klimt: su tutto spiccava infine l’acidario rosso porpora. Questo costume aveva particolare rilievo nella scena della maledizione, quando Frontali, ritto sul suo seggio dogale, veniva in proscenio lungo una pedana che si alzava con lui, mentre tutte le mani delle donne del coro si protendevano verso di lui in un tableau veramente emozionante. Anche i personaggi minori avevano costumi studiati fino al minimo dettaglio che abbiamo davvero apprezzato.

Il grande cuoco di questo spettacolo è stato Jader Bignamini che ha tenuto con mano salda la preparatissima Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini. Il Preludio al Prologo è stato veramente evocativo; il contrasto tra il dolore di Simone e la gioia del popolo ben realizzato con la perfetta realizzazione del frenetico coro con giustamente in rilievo il rullante e la campana a martello. Una macchina perfetta giunta oramai all’ultima recita. Anche l’impegnativa scena del Consiglio non ha subito cedimenti fino alla fine. Solo il coro fuori scena era forse troppo debole rispetto al tessuto orchestrale. Bellissimo infine il quartetto finale, l’addio del Doge, la nuova proclamazione di Fiesco e i cinque battiti di campana (questa volta non dietro le quinte come nel Prologo ma nel golfo mistico).

Uno spettacolo quindi di altissima qualità che non ha deluso le grandi aspettative. Appuntamento fra pochi giorni con i rari Masnadieri.

Fabio Tranchida