Macbeth: Giuseppe Altomare
Banco: Giorgio Giuseppini
Lady Macbeth: Dimitra Theodossou
Dama di Lady Macbeth: Valeria Sepe
Macduff: Dario di Vetri
Malcolm: Ernesto Petti
Orchestra Filarmonica del Piemonte
Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno
Maestro Concertatore e Direttore Giuseppe Sabbatini
Maestro del Coro: Mauro Rolfi
Regia: Dario Argento
Scene e luci: Angelo Linzalata
Costumi: Elena Bianchini
Dopo avervi presentato la sanguinaria Maria de Rudenz, ecco un’altra “opera-horror”: il Macbeth di Giuseppe Verdi con la regia eccezionale (al debutto in teatro lirico) del mago del brivido Dario Argento. Molto bene ha fatto il Teatro Coccia di Novara a servirsi di questo famoso regista che ha cercato di dare un punto di vista particolare all’opera, anche se alcune scelte ci sono apparse discutibili. Dario Argento aveva già incontrato sulla sua strada quest’opera da molti considerata maledetta insieme alla Forza del destino e all’Ebrea: si trattava di un allestimento nel Teatro Regio di Parma, eccezionalmente e solo per essere ripreso nel film Opera, dove l’elemento dominante era la gabbia dei corvi che venivano liberati creando scompiglio nel teatro. Acme di questa scena era un corvo che si cibava di un bulbo oculare umano, una scena per stomaci forti. Argento decide questa volta invece di ambientare l’opera durante la guerra del ’15 – ’18 . Sostiene infatti nelle note di regia: “Proietterò scene di battaglie e bombardamenti”. Noi di queste proiezioni non ne abbiamo vista pressoché alcuna.
Prima dell’evocativo preludio compariva in scena Macbeth acclamato da giovani soldati. Le streghe, che erano tre come in Shakespeare, completamente nude e con folte capigliature, agivano sulla scena mentre un coro di popolane cantava ciò che avrebbero dovuto cantare loro tre. Davvero brave le tre ballerine che impersonavano queste creature malefiche. La prima occasione per Argento di mostrare il suo gusto splatter è l’omicidio di Duncano, che avveniva dietro una finestra (vedi Profondo Rosso) con grandi fiotti di sangue; ci chiediamo perché poi non mostrare il cadavere così dilaniato nel lungo concertato che segue, sarebbe stato logico e in linea con le idee base della regia. La comunione di intenti di Lady Macbeth e Macbeth era sottolineata scenicamente dalle mani intrecciate prima nel progetto omicida e poi insanguinate dopo l’efferato crimine.

Nel secondo atto “La luce langue” riviveva come un prolungato amplesso con tanto di singulti alla frase “Ai trapassati regnar non cale”. Decisamente risibile la morte di Banco, trafitto da numerose lance, dato che sotto la bianca camicia era purtroppo ben visibile la plancia con il sangue finto pronto a essere versato. Colpo di scena infine la decapitazione finale di Macbeth, come richiesto da Shakespeare: in questo caso il cantante veniva sostituito da un fantoccio con una prodiga fontana di sangue dal collo mozzato. Effetti quindi un po’ naif e poco spaventevoli, ma era giusto stare al gioco. Ci domandiamo se, qualora l’addetto agli effetti speciali fosse stato Sergio Stivaletti, storico collaboratore di Argento, le cose sarebbero andate un po’ meglio.
Vocalmente invece si è raggiunto un ottimo livello. Dimitra Theodossiou si è dimostrata perfetta, agguerrita e demoniaca. Ogni frase ben proiettata fin dalla lettura della lettera iniziale, vero scoglio per le cantanti non italiane: perfetta dicitura con pause e giuste accentazioni. Tutto il canto sottolineato da movimenti scenici ben studiati e certo bagaglio della cantante. Ottimo il brindisi e da ricordare i suoi sguardi di terrore rivolti allo sposo duranti i suoi vaneggiamenti : davvero in parte. Sonnambulismo tutto sulle sue spalle : frasi mutevoli, grande forza espressiva e ultime note dell’aria cantate fuori scena dove poco tempo dopo la avrebbe attesa la morte.
Potente e drammatico è risultato parallelamente il baritono Giuseppe Altomare, che ha interpretato un ruolo difficilissimo e stancante, scritto per le non comuni capacità del grande baritono Felice Varesi (che sarà poi anche il primo Germont). Nel primo duetto con Banco ha alternato pp a ff creando vera tensione. Ottimo il duetto con Lady, tutto sotto voce fino all’ampia frase “Come angeli d’ira”, vero fiume in piena che il baritono ha saputo sfruttare nel migliore dei modi. Spinosa infine l’aria del IV atto “Pietà, rispetto, amore”, risolta senza nessun problema e senza alcun segno di cedimento dopo tre ore di spettacolo.
Nota dolente il tenore Macduff, che pure come voleva Verdi stesso non ha gran parte. Dario di Vetri ha cantato male e con voce poco educata e alquanto rozza. Bravo invece il basso Giorgio Giuseppini, dotato di notevole mezzo vocale e grande presenza scenica. Meritava di qualche istruzione in più da parte della regia per le sue apparizioni come spettro nel II e III atto.

Il coro non più che discreto era composto da cantanti amatoriali e quindi va apprezzato il loro notevole impegno anche se erano evidenti i problemi di intonazione e difficoltosa scansione ritmica. Hanno studiato bene comunque l’ampia pagina scritta per Parigi (1865) “Patria oppressa!”. Rispetto alla partitura parigina revisionata sono stati inoltre effettuati tre tagli: 1) la ripetizione della cabaletta della cavatina di Lady (non capiamo come una grande cantante come Dimitra possa accettare questo taglio che diminuisce la potenza della cabaletta); 2) eliminata parte della marcia di ingresso di Duncano (oltretutto la marcia era una brutta registrazione amplificata: se non si poteva disporre della banda come richiesto da Verdi sarebbe stato meglio se avesse suonato la’orchestra stessa piuttosto che un disco); il coro delle silfidi nel III atto, taglio dovuto probabilmente alla mancanza di un’arpista.
Sabbatini ha condotto molto bene, anche se l’orchestra avrebbe necessitato di qualche prova aggiuntiva. Al termine grandi applausi per tutti e contestazioni solo per Argento. Appuntamento al Coccia per la prossima Norma.
Fabio Tranchida