A. Skrjabin: Sonata n.2 in sol diesis minore op.19 “Sonata-Fantasia”
A. Skrjabin: Sonata n.6 op.62
M. Ravel: La valse
L. Liebermann: Gargoyles op.29
S. Rachmaninov: Sonata n.2 in si bemolle minore op.36

Pianoforte: Yuja Wang

Per alcuni è il fenomeno mondiale del pianoforte, certamente è fra le pianiste più richieste tanto in sala da concerto quanto in sala di registrazione, mescolando l’indiscutibile virtuosismo con un sapiente lavoro di immagine. Stiamo parlando di Yuja Wang, ventiseienne pechinese fra gli ospiti più attesi del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo.

Wang “appassionata”

Il programma del concerto è molto ricercato, imperniato sulla grande sperimentazione pianistica di inizio novecento (Debussy, Skrjabin, Ravel, Rachmaninov) ma anche con una puntata nel contemporaneo (Liebermann). Tutti brani tecnicamente impegnativi  (per usare un eufemismo) che permettono alla Wang di sfoggiare il suo talento sulla tastiera. Specularmente ricercato il modo di “mettersi in scena”, con un abito rosso e succinto che non risparmia provocazioni e scarpe nere laccate in pendant col poderoso Fazioli da concerto.

Cominciamo parlando delle Sonate, Seconda di Rachmaninov e Seconda e Sesta di Skrjabin, i cui caratteri molto differenti ci permettono di evidenziare la duttilità dell’interprete. La Seconda Sonata di Rachmaninov, opera del 1913 ma già della maturità del suo autore (è stata composta dopo i tre concerti per pianoforte), ha già di per sé un ampio raggio espressivo, includendo frequenti scale discendenti, armonie per quarte e gradi congiunti. Si percepisce l’eco sia del Terzo concerto che della Rapsodia su un tema di Paganini. Yuja Wang prende con decisione questo mondo suggestivo e affronta la Sonata con ottimo tocco, virile e marcato. Il piglio deciso, tanto più rilevante in una figura estremamente delicata e femminile come la sua, è il trait d’union anche per l’interpretazione di Skrjabin. Pensiamo in particolare alla gestione delle dinamiche, dominate in ogni sfumatura per restituire il carattere sostanzialmente impressionistico del pezzo (così come di “Pour le piano” di Debussy, fuori programma che ha aperto la serata). Ci pare che la Wang si trovi molto a suo agio in questo repertorio che le permette di dare sfogo alla sua sensibilità timbrica. Siamo molto lontani dal modello sonatistico austriaco e poi tedesco che richiede la chiarezza espositiva  di un discorso strutturale, qui siamo nel trionfo dell’estemporaneo. Due suggestivi commenti di Skrjabin stesso ai due movimenti della “Sonata-Fantasia” sono già eloquenti dell’approccio compositivo: “tranquillità di una notte meridionale sulle rive del mare” con “carezzevole chiaro di luna che si leva sulla iniziale oscurità della notte” e “vasta distesa dell’oceano sconvolto dalla tempesta”. La brillantezza esecutiva della Wang diventa quindi il mezzo tecnico attraverso cui possono aprirsi degli squarci di bellezza legati anche solo a singoli accordi: epifanie certamente più effimere delle architetture compositive germaniche ma forse per questo anche più affascinanti. E’ l’ideale di Skrjabin: un suono estatico, puro, a sé stante (si veda l’uso-abuso della sesta napoletana senza mai la risoluzione sulla dominante nel secondo movimento della Sonata no.6).

Il brano più celebre del concerto è tuttavia di gran lunga la Valse di Ravel, dove probabilmente è risultata anche meno efficace la mano della Wang: brillante ma poco guidata da intenzioni “a lungo termine”. Non basta infatti qui la ricerca di singole rivelazioni sonore, la Valse è un brano organico e strutturato in cui un tema si ripresenta fino ad esaurirsi. E sono proprio le interconnessioni fra le varie riproposizioni del valzer fondamentale che ci sono parse mancare di enfasi. Si sarebbero potute far sentire meglio tanto le relazioni armoniche quanto per le componenti meramente melodiche attraverso qui il discorso musicale viene portato avanti.  Anche il finale, se si va un poco oltre lo sfoggio di tecnica, è stato alquanto privo di un gesto musicale riconoscibile e caratterizzato. Riteniamo che qualche ascolto e studio delle interpretazioni della grande tradizione su questo brano potrebbe indirizzare a maggior efficacia l’abbondanza di mezzi della Wang.

Passiamo invece al brano meno celebre, Gargoyles, uscito dalla pena del pianista e compositore statuinitense Lowell Liebermann nel 1989. Non facile raccapezzarsi nei quattro movimenti molto eterogenei di questa composizione, dove in ogni caso è evidente l’intento virtuosistico a cui Yuja Wang non si sottrae assolutamente.

Agli ultimi accordi il successo in sala è esploso, come ci si poteva attendere, in maniera totale e vivace, con ben quattro rientri in sala per altrettanti bis in cui la Wang ha stupito tutti. Giù dall’etereo piedistallo del pianismo impressionistico ci ritroviamo immersi nella familiarità di parafrasi dal Barbiere di Siviglia o dalla Carmen!

Abbiamo aperto citando il mix esplosivo di fascino estetico e pianistico, chiudiamo tornando sulla questione “commerciale”, dato che dopo il concerto non è mancato quello che è sempre più un rito per le star musicali di oggi: autografi e foto coi fan che, accessoriamente, potevano acquistare sur place i suoi cd a prezzi non proprio modesti. Oggi essere una grande pianista è anche questo, sperando non sia solo questo.

 

Alberto Luchetti

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