R. Wagner: Tannhaüser, ouverture
R. Wagner: Wesendonck Lieder (orch. Mottl)
L. van Beethoven: Sinfonia n.7 in la maggiore op.92
Orchestra sinfonica Giuseppe Verdi di Milano
Direttore: Zhang Xian
Soprano: Carina Vinke
Abbiamo voluto intitolare l’articolo con quello che è il pezzo più raro e particolare dell’appuntamento stagionale col quale laVerdi omaggia il bicentenario wagneriano. I Wesendonck Lieder, con l’orchestrazione di Mottl e la voce di Carina Vinke, sono infatti accostati prima e dopo da due pezzi da novanta quali rispettivamente l’ouverture del Tannhaüser e la Settima sinfonia di Beethoven. Torna a dirigere l’orchestra la direttrice musicale Zhang Xian, che non manca mai di frequentare il repertorio tedesco.
Chi ha seguito l’attività de laVerdi negli ultimi anni è oramai familiare con lo stile di direzione energetico e inarrestabile della Xian. Il suo marchio di fabbrica è la perizia concertatrice che permette di ottenere quella pulizia del suono che a sua volta è il lasciapassare per spingersi verso i fortissimi senza deragliare nel caos. Come tutte le cose, anche questa tecnica ha tuttavia il suo lato negativo: con il procedere dei climax non è sempre facile ritrovare una gestione ideale delle dinamiche, con la tendenza ad appiattire un po’ tutto su un costante fortissimo. Nel caso dell’ouverture del Tannhaüser, che apre il concerto, questo rischio di saturazione timbrica e dinamica è amministrato inizialmente attraverso un ritmo cadenzato e non frenetico. Questo ha forse complicato la vita agli strumentisti, specialmente nella prima esposizione ai corni, purtroppo non del tutto impeccabili, ma ampiamente riscattati dagli archi subentrati e soprattutto dal ritorno degli ottoni in massa, con menzione speciale per gli ottimi tromboni. La mano irrequieta della Xian sostiene ogni nota ottenendo il massimo anche da quelle brusche cesure nel discorso musicale che sono peculiari di questa ouverture, tutta incentrata sugli impulsi passionali, e molto atipica per il futuro maestro de “l’arte della transizione”. Squisita prova anche dei violini, chiamati ad un certo numero di passaggi notevoli quali i vivaci vibrati che trasmettono la lussuria, le voci divise e stridenti della perversione e infine l’ostinazione (particolarmente enfatizzata dalla Xian) mentre si ripresenta il tema iniziale ai corni. Ricordiamo ancora una volta la bravura di tutto il reparto degli ottoni gravi, poderosi e mai sguaiati nella stretta finale, che come in avvio non finisce in una gioia frenetica ma mantiene la solennità della redenzione.

Arriviamo dunque finalmente ai cinque Wesendonck Lieder, poco conosciute perle dell’altrettanto poco noto repertorio non operistico di Wagner. In verità qui siamo in pieno nell’uso delle tecniche che fanno grandi le sue opere, specialmente con l’orchestrazione di Felix Mottl che è evidentemente modellata su quella delle opere. Anche i testi non si discostano poi molto dai temi trattati dal compositore in quel periodo, cioè nel periodo del Tristan und Isolde. I Wesendonck Lieder sono peraltro come un precipitato dell’esperienza preparatoria al Tristan; sono l’immagine stessa del rapporto fra Richard e Mathilde, autrice dei testi di questi Lieder che da lei prendono anche il nome. Come per Tristano con Isotta, infatti, Wagner viveva con lei un amore proibito (il marito di lei, tanto per cambiare, era un benefattore del musicista) ed estremamente spiritualizzato in direzione dell’annullamento del sé individuale per la fusione delle anime. Senza questo sostrato di vissuto non ci sarebbe molta della poeticità dei Wesendonck, i cui testi sono a rigore piuttosto modesti e la cui musica è per lo più stata composta come studio. Grande invece è il fascino che esercitano su ogni pubblico per questa loro stretta intimità con il senso di impossibilità (o meglio in-com-possiblità) che collega amore e morte, voluttà e annientamento. Splendidi in particolare gli interventi solisti (del violino, del violoncello ma soprattutto della viola, in Im Treibhaus). Piuttosto rapidi i tempi della Xian, con risultati alterni (molto bene nel secondo Lied, dove si parla appunto della inarrestabile ruota del tempo, meno convincente nell’estasi di Der Engel). Se si eccettuano alcune esplosioni liriche, l’orchestra è stata giustamente trattenuta per indirizzarla ad un ruolo di tessitrice dell’atmosfera emotiva e di sostenitrice della voce solista, che questa sera è quella di Carina Vinke. Pur figurando da contralto, la voce della Vinke non è parsa particolarmente grave di natura, piuttosto ci è parso di sentire uno sforzo costante nello scurire la voce, che risulta così di bellissimo timbro ma decisamente problematica nella salita all’acuto, dove si rivelava l’uso della gola in uno spiacevole vibrato. Molto bene l’aspetto interpretativo, toccante nei momenti giusti e mai fuori dalle righe. Citiamo solo un passaggio, nel finale di Stehe Still, in cui il fiorire dell’orchestra trova nella sua voce il giusto risuonare che dovrebbe sciogliere nientemeno che il “mistero della sacra Natura”. Meravigliosa, sempre lì, anche la splendida coda dell’oboe. Non manca comunque il fascino a nessuno dei cinque brani, che ci piacerebbe ascoltare più spesso in sala da concerto, specialmente così con l’orchestra a sostegno.
Concludiamo con una Settima sinfonia di Beethoven che ancora una volta conferma tutto ciò che Zhan Xian ha già mostrato finora. Suono perfetto fin dai primi accordi, tenuti senza alcuna sbavatura nella densità del timbro, e interpretazione sostenuta che allontana l’etichetta di “apoteosi della danza” che di questa sinfonia aveva dato lo stesso Wagner. Ed in effetti che non siamo in ambito tanto leggiadro ce lo conferma il secondo movimento (la marcia funebre), dove più che di danzare si parla di morte, ideale trait d’union con i Wesendonck. Anche qui il meccanismo della saturazione timbrica viene controbilanciato da una moderazione sul ritmo e sul volume del suono, col risultato di una marcia a tratti quasi cameristica e molto intima (anche per l’estrema compattezza all’interno dei reparti). Qualche perfettibilità l’abbiamo forse riscontrata nei legni, che generalmente hanno nella Settima un ruolo di deuteragonisti (suonano il secondo tema nelle forme-sonate come il primo movimento e dominano le sezioni “B” nelle tripartizioni dei movimenti centrali). Fra gli ultimi due movimenti infine si fa preferire nettamente l’interpretazione dell’ultimo, che trova l’unione rara di plasticità ed intensità anche in quel ritmo frenetico che è stato invece un ostacolo molto pericoloso per lo Scherzo. All’infuori di ogni dubbio si conferma l’approccio molto teso al romanticismo più che al classicismo con cui la Xian legge Beethoven, a tratti ci pare seguendo la linea che probabilmente fu di Mahler. Non a caso fu proprio lei a voler dirigere l’anno scorso una notevole Terza di Beethoven seguendo le modifiche all’orchestrazione apportate dal boemo. Il pubblico la saluta con ovazioni che si distribuiscono poi a tutta l’orchestra, che ha meritato questo riconoscimento. La direttrice musicale tornerà ancora una volta su questo palco per chiudere la stagione con Cavalleria Rusticana fra un mese, e sarà un’altra prova molto interessante da seguire.
Alberto Luchetti