A. Ariosti: Ouverture e gavotta da Vespasiano
G. F. Händel: “Cara sposa” da Rinaldo (vers.1731)
D. Sarro: “Forti schiere vicino è il momento” da Partenope
J. A. Hasse: “Pallido il sole” da Artaserse
G. B. Mele: “Non cerchi innamorarsi” da Angelica e Medoro
N. A. Porpora: “Quel vasto quel fiero” da Polifemo
A. Ariosti: “Io parto e sallo i numi” da Tito Manlio
G. F. Händel: Ouverture da Rinaldo (vers. 1711)
G. F. Händel: ”Se fiera belva ha cinto” da Rodelinda
G. F. Händel: “Venti, turbini” da Rinaldo (vers. 1731)
L. Vinci: “Luci care, mio diletto” da Astianatte
A. Ariosti: “Vi d’un figlio tanto misero” da Coriolano
A. Vivaldi: “In braccio de’ contenti” da Gloria et Himeneo

Orchestra laVerdi barocca di Milano
Direttore: Ruben Jais
Contralto: Sonia Prina
Controtenore: Filippo Mineccia

 

In una città come Milano purtroppo non si hanno molte occasioni di ascoltare musica barocca. LaVerdi barocca fortunatamente ce ne dà la possibilità e l’occasione di stasera è particolarmente ghiotta. Abbiamo ascoltato Sonia Prina che non ha bisogno di presentazioni essendo un contralto (un vero contralto) di fama internazionale e Filippo Mineccia, giovane controtenore (è nato a Firenze nel 1981) che oltre a cantare con notevole maestri ha contribuito in maniera determinante alla scelta dei brani in scaletta dando prova dei sui studi musicologici. Il concerto infatti non è stata una mera raccolta di pezzi di bravura ma si è intelligentemente sviluppato seguendo la forma tipica di un’opera barocca in due atti: una sinfonia, serie di arie e duetti finali. La scelta dei compositori è stata infine molto oculata, permettendoci di sentire autori anche pochissimo frequentati.

Ha aperto il concerto una Ouverture e Gavotta dal Vespasiano di Ariosti. Un primo movimento accordale con i due flauti insieme agli archi e al continuo, poi un fugato senza flauti e un incedere drammatico che ha portato all’allegro finale in tempo di gavotta. Forse non originale come le sinfonie di Händel ma certamente funzionale e variata e perfetta per calarci nell’atmosfera settecentesca. E’ l’antipasto ideale per un piatto forte come il pezzo celeberrimo “Cara sposa” dal Rinaldo di Händel: la voce del giovane Filippo Mineccia è dotata di precisa intonazione ma ci è sembrata all’inizio di poco volume, specialmente se confrontata con un’orchestra tutta modellata su chiari e scuri dalla sapiente bacchetta di Ruben Jais. In realtà il cantante doveva solo scaldarsi e già il da capo è risuonato diversamente, più sicuro e personale. Già il secondo brano in bocca a Mineccia è suonato irresistibile, con numerose variazioni e sicuro piglio. Si trattava di un’aria da La Partenope di Sarro: aria molto mossa con una pirotecnica coloratura che non ha spaventato il nostro. Tocca dunque rispondere a Sonia Prina, che esordisce con un ruolo, quello di Artabano, che conosce bene in quanto lo ha cantato l’anno scorso nell’opera completa Artaserse di Hasse. Nel nostro concerto ci dà un assaggio con l’aria “Pallido il sole”, cesellando un capolavoro ricco di squarci di verità drammatica, soprattutto nel recitativo accompagnato (“Eccomi al fine”). Stupendo il clima musicale alle parole quasi recitate “Egli è morto” e perfetto il tempo con cui stacca “Pallido sole”, creando un’ampia frase che lievita mano a mano. Segue una rarità risalente al 1737, per quanto l’anno non verrà forse ricordato proprio per la composizione di Angelica e Medoro da parte di Mele. Nello strano mondo alla rovescia di questo concerto tuttavia è così, anche perché Mineccia ci offre un ottima resa dell’aria “Non cerchi innamorarsi”, con un andamento sostenuto con ampie virate sia verso l’acuto (mai spinte) e verso le regioni gravi che non spaventano certo il controtenore. Segue un’aria di bravura di Porpora (“Quel vasto quel fiero” dal Polifemo del 1735) tutta in presto e con difficili vocalizzi sulle parole “atterrito” e “appagato”: impossibile quasi prendere il fiato. Ecco quindi un toccante duetto a chiudere la prima parte: dal Tito Manlio (1717) di Ariosti un pezzo originalissimo con melodie concatenate dei due amanti costretti a dirsi addio. Le linee melodiche non sono mai parallele anche se sovrapposte: una melodia sommessa per spiegare l’addio è infatti ripresa dai cantanti con un maggior calore e slancio.

Dopo l’ouverture del Rinaldo con moderno assolo di Flauto solista e un’orchestra mobilissima, ecco l’aria capolavoro dalla Rodelinda,Se fiera belva ha cinto”, cantata dalla Prina in un tempo allegro che non lascia respiro, specialmente per la coloratura incessante sul vocabolo “libertà”. Una ulteriore sorpresa è stata la breve cadenza finale realizzata dal contralto con rara incisività. Altro giro altro eroe con tanto di recitativo drammatico, stavolta affidato alla voce del controtenore. Si tratta di “Spirate inqui marmi” dal Coriolano sempre di Ariosti (1723). Una lenta introduzione di soli archi apre al recitativo accompagnato dove ogni parola ha il proprio peso. Ne segue l’aria vera e propria con frasi di grande virtuosismo. Nella sezione intermedia viene scandita la parola “baldanza” per poi riprendere con il da capo con moltissime variazioni che esaltano la già fitta coloratura. Un nuovo duetto per mano di Vinci (da non perdere il suo Artaserse edito dalla Virgin) ci avvia alla conclusione. E’ un duetto dialogico costruito molto bene: solo nelle chiusure delle frasi le due voci si accoppiano. Superlativi gli affondi della Prina nelle regioni gravi creando un bellissimo effetto di contrasto con la voce più chiara di Mineccia. C’è tempo ancora per un’aria magica come “Venti, turbini” dal Rinaldo, caratterizzata dal violino solista e dal turbine vero e proprio delle scale discendenti degli archi al gran completo. La Prina con la sua voce dal colore bronzeo è riuscita a ritagliare ancora una volta un ottimo personaggio.

Termina il concerto il grande Antonio Vivaldi con “Gloria ed Himeneo”: un duetto dove le voci procedono parallelamente pur mantenendo la propria individualità. Vivaldi dovrebbe risuonare di più sui palcoscenici italiani e ce ne offre una ghiotta occasione il Maggio Fiorentino con la riproposta in veste semiscenica del Farnace (purtopoo solo i primi 2 atti: misteri della filologia!), ovviamente con Sonia Prina tra i protagonisti. Da non perdere.

 

Fabio Tranchida

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