G. Mahler: Sinfonia no.3

Orchestra sinfonica e coro di Milano Giuseppe Verdi
Direttore: Zhang Xian
Maestro del coro: Erina Gambarini
Maestro del coro di voci bianche: Maria Teresa Tramontin
Contralto: Carina Vinke 

 

Affrontare Gustav Mahler è sempre una prova del fuoco per ogni orchestra, e la Terza sinfonia in particolare è, insieme alla pressoché ineseguibile (per i mezzi richiesti) Ottava, l’Everest sinfonico per durata ed esigenze di partitura. LaVerdi ha dedicato all’integrale delle sinfonie di Mahler buona parte della stagione 2010-2011 (cento cinquantenario della nascita e centenario della morte del compositore), rinforzando così in repertorio sotto la direzione di Zhang Xian alcune delle pagine sinfoniche più meravigliose della tradizione occidentale. Ed è sempre la direttrice musicale cinese, appassionata dell’autore, a salire sul podio per questa ripresa della Terza insieme al contralto Carina Vinke e al coro femminile e di voci bianche. Il risultato è garantito.

Il primo movimento, dedicato al risveglio della natura e al corteo di Bacco, viene subito affrontato con energia e tensione come nello stile che abbiamo imparato a conoscere da Zhang Xian. L’orchestra segue in maniera impeccabile, ognuno al suo posto di battaglia: i corni decisi e stentorei per il primo tema (reminiscente della Prima di Brahms), gli archi vibranti ed inquietanti nei “risvegli” in rapide scale ascendenti, i tromboni taglienti nel richiamo ricorrente ed ossessivo composto da una terzina ascendente e da una lenta discesa di tono a sfumare. Mahler in effetti non parlava di risveglio della “natura” ma di risveglio di Pan, notando (come ci riferisce la Bauer-Lechner) che il nome del dio greco della natura richiama anche il Tutto ed il timor panico, cioè lo spavento di fronte alla totalità e allo sfondamento abissale. L’approccio sostenuto raggiunge addirittura la saturazione sonora alla prima esposizione della marcia bacchica, portando ogni tema e accordo all’estremo, senza per questo mai perdere la precisione esecutiva. E’ questa una caratteristica di grande merito della Xian, che davvero utilizza l’intero corpo (le gambe in particolare) per trasmettere energia senza mai dimenticare o sbavare il gesto. Una piccola ma dinamicissima macchina da direzione. Qualche scollamento meno convincente si percepisce nei passaggi interlocutori in cui non c’è un tema muscolare che conduca il discorso, ma nella sovrabbondanza tematica di Mahler questi momenti restano di limitata durata ed importanza. Il primo movimento si conclude esaurendo la classica forma sonata dilatata in un parossistico ritorno della marcia con agogiche molto complesse dopo un bel corale del trombone di Giacomo Ceresani. L’esigenza di dare adeguata forma all’enormità della natura ha portato Mahler a comporre un primo movimento lunghissimo primo movimento (oltre mezzora) che svolge di fatto il ruolo di prima metà della sinfonia.

Il secondo movimento apre quindi la seconda parte, nella quale ogni movimento rappresenta una componente dell’universo, a crescere o salire: dai fiori agli animali, all’uomo, agli angeli fino all’amore. Una fenomenologia che richiama le ambizioni sinfoniche di Beethoven ed Haydn che prima di Mahler hanno tentato di fare della musica la testimone di tutto il creato.
“Ciò che mi dicono i fiori”, con cui prende il via il percorso, è per Mahler un delizioso minuetto arcaizzante che si incammina nella semplicità delle due voci mozartiane per perdersi progressivamente in armonie complesse e piccole anarchie degli archi, sempre più frazionati e sincopati rispetto al tempo di danza. La Xian lascia da parte gli indugi e prende il minuetto in maniera sostenuta, perdendo parzialmente il gioco di allargamenti tipico della danza settecentesca ed appiattendo la ricchezza evocativa del brano. Meglio il trio, vibrante e vivace, ed ancor più tale nella ripresa, dove anche il minuetto ritorna questa volta compassato e nostalgico, come per la sfioritura finale, petalo per petalo. La forte caratterizzazione interna ai movimenti è una delle caratteristiche della Xian, che sorprende a volte con scelte atipiche di partenza per poi farci raggiungere il “normale” come risultato.
“Ciò che mi dicono gli animali” è invece pieno stile Wunderhorn, attingendo a piene mani in particolare dal Lied Ablösung im Sommer, dove il cuculo della primavera lascia il posto di cantore all’usignolo dell’estate. Anche qui la Xian pare voler introdurre una dinamica interna con un inizio in cui risaltano molto le singole voci ed una conclusione in cui si esalta invece l’atmosfera soffusa, al culmine dopo l’assolo del bravissimo corno del postiglione. Ovviamente l’uomo irrompe a disfare l’idillio e causare un, giustamente grottesco, fuggi fuggi finale.

Carina Vinke
Carina Vinke

Per “ciò che mi dice l’uomo” Mahler ricorre invece al testo nietzschiano dallo Zarathustra, mutando ulteriormente atmosfera e stile. Questo è risultato anche il pezzo meno riuscito della serata. Troppo bruschi i pianissimi dei fiati per dare il senso del mistero che sta alla base di questo canto della “profondità” (Tiefe). Meglio le parti in maggiore introdotte dal levarsi dei violini. La voce di contralto è di Carina Vinke, della quale si segnalano certamente i buoni fiati nelle frasi più lunghe e la tenuta nella tessitura bassa. Tuttavia è difficile giudicare a pieno una voce da questa parte molto particolare e dai pochi interventi nel successivo lied: Es sungen drei Engel. Anche qui siamo nel mondo goffamente infantile del Wunderhorn, in stretto richiamo col finale della Quarta sinfonia, che esplicita la visione mahleriana della “vita celeste” e della felicità perpetua come un ideale naif e grottesco. Perfetto nel look il coro di voci bianche de laVerdi con le sue divise bianche, angeliche, e molto buona la scansione del bimm-bamm, sfrontato (keck, come da partitura). Puntuale il coro femminile ed ottimo l’intervento in fortissimo degli ottoni.
Si chiude con “ciò che mi dice l’amore”, adagio mutuato dal tardo Bruckner (come per la Quarta e Sesta) e pagina di tale intensità e bellezza che diventa anche problematico il parlarne. Potremmo soffermarci sull’esecuzione non perfetta (il trombone solista è chiamato a miracoli ad esempio) ma la poesia nel contrappunto c’è tutta e l’effetto estatico al culmine di questo ottovolante sinfonico non manca. La chiusura con l’Adagio catartico nella pienezza degli accordi perfetti è una rarità presso Mahler (la Nona chiuderà in Adagio ma certo in maniera molto più cupa, in un pppp in morendo) ed è il frutto straordinario di una stagione irripetibile in cui l’amore si presentava al compositore boemo ancora come ultimo orizzonte di elevazione oltre ogni perdita. La contrapposizione fra questo finale, che si fa carico anche del dolore, e l’ingenuità del brano precedente è totale, ed è il primo passo che spingerà verso la sempre più disillusa visione mahleriana dell’esistenza. Il fascino di questo momento di beatitudine è dunque ancora maggiore, e difficilmente l’animo vi rimane indifferente. In conclusione si potrebbe paradossalmente estrapolare una frase proprio dal Lied del movimento precedente: “Und sollt’ich nicht weinen”?

Alberto Luchetti