G. Verdi: Stiffelio, sinfonia
G. Verdi: Ballabili dall’opera Les Vêpres siciliennes
G. Verdi: Ballabili dall’opera Il Trovatore
G. Verdi: Luisa Miller, sinfonia
G. Verdi: Ballo della Regina, dall’opera Don Carlos
G. Verdi: Ballo III dall’opera Macbeth
G. Verdi: Ballabili dall’opera Otello
Orchestra della Svizzera Italiana
Direttore: Nello Santi
Abbiamo assistito ad uno splendido e originale concerto a Lugano con la sempre competente direzione di Nello Santi. Un programma che ci ha soddisfatto appieno essendo i ballabili di Verdi poco conosciuti e mai eseguiti nelle opere. Certo la coesione drammatica voluta da Verdi nelle sue opere è di ostacolo alla presenza di ballabili, ritenuta edonistica e realizzata solo sulle scene francesi. Si pensa delle volte che in Italia non ci fosse questa tradizione. Niente di più falso: infatti anche in Italia le opere si davano con i balletti. Le due ore di musica di Rigoletto o Trovatore, ad esempio, non erano sufficienti ad occupare una intere serata, quindi si incaricava compositori diversi di comporre balletti da eseguirsi tra gli atti o alla fine dell’opera. Quindi, la differenza tra Italia e Francia si riduce sostanzialmente alla necessità, in Francia, che fosse proprio il compositore stesso a garantire musica sufficiente per tutta la durata della serata, con opere spesso di 4 o 5 atti e con un balletto che dunque non risulterà avulso dal contesto come in Italia ma sarà inserito nella drammaturgia dell’opera, garantendo una uniformità stilistica alla musica di ogni serata.
La prima opera francese di Verdi, Jerusalem (1847), segue l’esempio di Rossini e di Donizetti, ovvero rielabora opere precedenti aggiungendo e togliendo per accontentare il gusto francese. Si tratta infatti di una riscrittura de I lombardi alla prima crociata. Le più cospicue aggiunte sono il preludio dell’opera, un duettino, la grande aria per Gaston (l’aria della degradazione) e logicamente i 30 minuti di ballabili nella scena dell’Harem. Bisogna ammettere che questa prima incursione nella musica da danza sia solo in parte riuscita: si tratta infatti di 15 piccoli pezzi con poco sviluppo senza un’idea unitaria e con poca varietà di ritmi che non sfruttano affatto l’esoticità del luogo (quanta strada manca ancora se pensiamo alle danze per la Thais!!!). Questi ballabili erano previsti nel concerto solo inizialmente. Infatti data la lunghezza sono stati eliminati con il grande beneficio di avere sia i ballabili dei Vespri che del Trovatore eseguiti integralmente.

E’ dunque nel 1855 che avviene l’importante composizione dei Vespri, prima opera di Verdi completamente ideata per le scene dell’Opéra. Il libretto era lo stesso dello sfortunato Duca d’Alba di Donizetti. Il balletto inserito, dal titolo Le quattro stagioni, seguiva un articolato programma su cui Verdi basò la sua composizione, guidato dalle indicazioni sceniche. Si nota un notevole progresso rispetto la precedente prova, essendo passati ben 8 anni: varietà di ritmi, colori orchestrali, temi che ritornano e veloci galop da fare invidia ad Offenbach. La direzione di Nello Santi, assecondata da un’orchestra perfetta, docile e precisa, ha reso brillantemente tutti i passaggi, alcuni peraltro di notevole difficoltà. Lo stesso Verdi sosteneva d’altronde che prima di far ballare i ballerini bisognasse far ballare la stessa orchestra.
Terzo balletto due anni dopo nella versione francese de Il Trovatore. Possiamo sostenere, nonostante il valore della partitura, che in questo caso la mezz’ora di musica va ritenuta un’eccessiva intrusione allo svolgersi drammatico della vicenda. Ecco quindi l’occasione di questo concerto che mette da parte l’opera in sé e si focalizza sulla bellezza edonistica di questo ballo. Anche in questo caso Verdi segue delle indicazioni sceniche ma la cosa più importante musicalmente è la citazione di due motivi presenti nella sua opera, ed in particolare entrambi provenienti dal coro degli Zingari all’inizio della Seconda Parte dell’opera. E’ l’unico caso di autocitazione e ne dobbiamo tenere conto: voleva dare al pubblico francese una reminiscenza della sua musica, collegando il secondo al terzo atto. Ottima l’orchestra con rilievo delle percussioni con le nacchere d’obbligo e il tamburello basco a dare quel giusto colore. Man mano l’orchestrazione verdiana si sta raffinando con l’ascolto dei capolavori di Meyerbeer, che dettava legge a Parigi.
Nel 1865 ecco la volontà di migliorare il vecchio Macbeth. Sono numerosi i passi riscritti e sostituiti con grande intento drammatico. Questa nuova versione andrà per volontà di Verdi a sostituire la vecchia versione fiorentina del 1847. Infatti la prima esecuzione della nuova versione francese cantata in italiano sarà proprio alla Scala il 28 gennaio del 1874 e da allora Ricordi stamperà lo spartito con tutti i rimaneggiamenti e, caso unico, anche con l’intero balletto! Ciò è dovuto al fatto che l’aspetto soprannaturale con le danze delle streghe era ritenuto fondamentale per la riuscita del terzo atto. Nella nostra serata è stato eseguito solo l’ultimo dei tre movimenti, cioè il Valzer Infernale che accompagna la ridda delle streghe (anche qui la derivazione è dal Valzer del Robert le Diable). Peccato che non si sia eseguito l’intero balletto che dura in totale solo dieci minuti.
Arriviamo quindi al Don Carlos e quindi al Ballo della Regina, tra i più raffinati. Oltretutto esso si innesta drammaticamente molto bene nell’azione. In esso infatti si narra la storia della Péregrina, cioè della perla di Filippo II, che sulla scena dovrebbe essere rappresentata da Elisabetta di Valois. Non fosse che proprio nel costume da perla le si è sostituita Eboli, cosicché a ragione Don Carlo la confonde poi nel successivo terzetto. Musica raffinatissima con due temi che vengono più volte riproposti: un valzer, con orchestrazione sempre più variata, e la marcia di Filippo II, con la regione degli ottoni predominante. Un balletto di grande unitarietà che vorremmo anch’esso eseguito nelle riproposte dell’opera, data la sua bellezza. Alcuni sostengono che le idee musicali siano inferiori al modo con cui le stesse idee siano trattate in orchestra: resta il fatto che l’impegno di Verdi è visibile ad ogni battuta.
I successivi ballabili composti, ovvero quelli di Aida, non erano invece in programma, probabilmente poiché conosciuti a tutti essendo indivisibili dall’opera stessa. Bisogna ricordare però che la versione definitiva che oggi ascoltiamo è comunque una revisione parigina con l’aggiunta di alcuni movimenti e la ripetizione di altri per dare più spazio alla danza rispetto la versione del Cairo. Hanno chiuso dunque il concerto i corti ballabili dell’Otello composti (è bene sottolinearlo: dopo il Falstaff) per Parigi nel 1894. La loro breve durata fa capire l’importanza oramai raggiunta da Verdi all’epoca: decise infatti che il dramma non dovesse essere eccessivamente interrotto e l’Opéra dovette cedere. Per comporre questi brevi brani si fece spedire da ogni dove tanta musica caratteristica che poi comunque non usò. Orchestra diretta da Santi ha dato qui il meglio di sé: dalle raffinate arpe ai maestosi ottoni. In pochi secondi la musica passava da pianissimo ad esplosioni sonore.
Nella nostra rassegna un balletto manca infine all’appello… Nel 1848 Verdi fa eseguire il Nabucco a Bruxelles ed in questa occasione, dopo il coro “E’ l’Assiria una regina”, compone un balletto che sappiamo costituito da varie aires des ballets. Nonostante le numerose ricerche nessuna partitura è mai venuta alla luce. Possiamo solo pensare che abbia riutilizzato materiale precedentemente composto per Jerusalem e quindi poi abbia fatto sparire questo balletto per via degli auto prestiti, ma la vicenda è ancora avvolta nel mistero.
Completavano infine il concerto la rara sinfonia dello Stiffelio e la monotematica sinfonia della Luisa Miller, che hanno confermato se ce ne fosse bisogno il piglio di Santi e la sinergia coll’insieme. Un concerto quindi di autentiche rarità che la grande professionalità dell’Orchestra della Svizzera Italiana ha trasformato in trionfo. Siamo contenti che ci siano queste iniziative (che continueranno come da programma che potete seguire a questo link: www.rsi.ch/concertiauditorio) tese ad illuminare aspetti meno noti di un grande maestro come VERDI. VIVA VERDI!
Fabio Tranchida
I ballabili del Macbeth sono spesso eseguiti nelle rappresentazioni dell’opera: mi vengono in mente Muti/Vick alla Scala, Bartoletti/Cavani al Regio di Parma, la prima volta che vidi in teatro il Macbeth a Bologna circa 40 anni fa c’erano i ballabili; inoltre sono presenti in molte edizioni discografiche (Abbado, Muti, Gardelli), insomma l’esecuzione non è proprio un’eccezione. Il “Ballo della Regina” fa parte del Don Carlos in francese, che purtroppo non viene quasi mai eseguito ed è questo il vero peccato. Talora sono stati espunti anche da questo (Pappano/Bondy allo Chatelet): grave errore, il ballo è fondamentale per spiegare il qui pro quo di Don Carlos nella successiva scena con Eboli, altrimenti, come capita di solito, il povero Carlos fa la figura dello sprovveduto. Muti alla Scala inserì i ballabili anche nei Vespri Siciliani in italiano, si sa che il Maestro ama moltissimo le “Quattro Stagioni” e non ha perso l’occasione. Aggiungerei comunque che al di là di questioni di drammaturgia, l’inserimento dei ballabili nelle opere richiedono la presenza di un corpo di ballo di cui molti teatri nostrani sono privi e scritturare una compagnia ad hoc in queste contingenze è una spesa in più…
Immagino che una regia intelligente di buon livello potrebbe anche compensare l’assenza di corpo di ballo con qualche trovata scenica alternativa o con solo qualche solista ed una coreografia semplice. Certamente i costi grandoperistici sono raramente sostenibili per i teatri attuali, anche quelli grossi, ma volendo c’è sempre modo di cavarsela.