G. Rossini: Sinfonie (Guglielmo Tell, Il Barbiere di Siviglia, Semiramide, La Scala di Seta)
G. Verdi: La Forza del Destino – ouverture e Pace mio Dio; Oh Don Fatale!; Celeste Aida
G. Donizetti: O mio Fernando (da La Favorita)
P. Mascagni: Tu qui Santuzza (da Cavalleria Rusticana)
F. Cilea: Acerba Voluttà (da Adriana Lecouvreur)
G. Puccini: E Lucevan le stelle; Intermezzo Manon Lescaut; Sola perduta…; Nessun Dorma

Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
Direttore: Jader Bignamini
Soprano: Natalie Bergeron
Mezzosoprano: Krysy Swann
Tenore: Yusiv Eyvazov

Ce ne vorrebbero tanti di questi concerti. Noi li amiamo particolarmente! Appena abbiamo visto il programma di questo concerto dell’orchestra Verdi, fresca del successo da ambasciatrice della musica italiana in Russia, ci è venuto in mente un altro concerto di capitale importanza, il cui programma era sempre dedicato esclusivamente alle glorie dell’opera italiana. Allora si apriva con l’ouverture della Gazza Ladra, e sempre di Rossini si erano eseguiti brani dal Guglielmo Tell e dal Mosé in Egitto, poi veniva il turno di Verdi, col Nabucco, i Vespri ed il Te Deum, infine il Puccini della Manon Lescaut e il Boito del Mefistofele. Ebbene si trattava del concerto che inaugurò la Scala ricostruita, il sabato 11 maggio 1946. Se questo fu il programma che scelse Toscanini per far battere il cuore agli italiani dopo gli anni della guerra, anche il programma di questa sera può fare leva sull’italianità dei pezzi scelti e sulla riproposizione di melodie celeberrime che non ci si stancherà mai di riascoltare.

Sono state scelte addirittura 4 Ouverture di Gioachino Rossini  In apertura quella del Guillame Tell (in attesa di ascoltarlo integralmente la prossima estate al Rossini Opera Festival), seguita da quella del Barbiere. Sarebbe meglio in realtà definire quest’ultima come l’ouverture dell’Aureliano in Palmira, visto che è stata originalmente composta per questo dramma. La precisazione non è peregrina ma ha un suo valore, poiché nell’Aureliano vari pezzi della sinfonia ritornano poi nell’opera, cosa che non avviene nel Barbiere. L’Adagio iniziale è in realtà la grande introduzione nel secondo atto della scena e rondò di Arsace, mentre il crescendo ritorna nel finale primo dell’opera durante la stretta. L’Aureliano è un’opera molto più conosciuta adesso di quanto non fosse in passato con esecuzioni dal vivo e registrazioni in studio (l’ultima quella eccellente di Opera Rara). Interessante inoltre il confronto tra le altre due sinfonie eseguite questa sera: La Scala di Seta e Semiramide. Si tratta di una prima e di un’ultima, anche se non sono né la prima né l’ultima! Perdonatemi questo gioco di parole. La Scala di Seta è la prima sinfonia dove i vari elementi (Introduzione, I tema, Tutti, II tema, crescendo e ripresa) sono tutti al loro giusto posto dopo gli sperimentalismi delle prime farse. Nella Semiramide ancora questi elementi sono riproposti invariati nella struttura ma arricchiti nella forma trasformando il pezzo in un’architettura monumentale. Nelle ouvertures parigine che seguiranno invece queste regole verranno infrante, fino ad arrivare all’estrema realizzazione nel Guillame Tell, suddivisa in 4 parti sostanzialmente indipendenti.

Jader Bignamini mentre dirige all'Auditorium
Jader Bignamini mentre dirige all’Auditorium

L’orchestra diretta da Jader Bignamini è stata all’altezza del compito, sia nei pezzi giovanili che in quelli della maturità rossiniana: ottimi i tempi, bravissimi i fiati che intonano i vari temi e romantico il violoncello solo che apre l’estrema sinfonia. Chi avrebbe detto che dopo l’exploit del Tell la carriera operistica del Cigno di Pesaro si sarebbe fermata! Visse altri 40 anni (40 anni!!!) componendo sempre ma non avendo più il coraggio di affrontare le scene. Una curiosità l’opera che gli fu proposta e dopo il Tell parigino fu il Faust! Così calava il sipario sulla grande stagione operistica di Rossini.

Non finisce però qui il concerto. Proseguendo l’analisi dei brani abbiamo ascoltato tre arie per tenore intonate da Yusiv Eyvazov cantante dell’Azerbaijan che ci ha lasciati un po’ insoddisfatti per l’eccessiva e fuori luogo indole verista. Sempre forzata l’emissione ed enfatizzato l’accento. Solo nel duetto tratto dalla Cavalleria Rusticana i suoi modi risultavano accettabili per il brano eseguito, mentre l’interpretazione negli altri pezzi era decisamente poco azzeccata. Peccato. La migliore della serata invece è stata sicuramente il mezzosoprano americano Krysty Swann, che si è fatta notare innanzitutto con l’aria “Oh don fatale” dal Don Carlo. Voce brunita sicura anche nelle note più basse e gran temperamento: ecco le sue caratteristiche. Vedendola entrare con la soprano ho pensato per un momento che eseguissero anche il duetto che precede l’aria. Si, un duetto, il brano più misterioso di tutta l’opera poiché tagliato prima della prova generale dallo stesso Verdi e l’unico brano, anche tra quelli espunti, rimasto con un’orchestrazione incompleta ma comunque eseguibile. Due incisioni ve lo faranno scoprire: quella di Opera Rara e quella di Abbado per la DG. Anche gli altri due brani, “Acerba voluttà” e “O mio Fernando”, sono stati eseguiti con grande professionalità, con sol naturali molto belli e sol diesis sicuri e fermi nella voce della Swann. Solo due piccoli rammarichi: l’aria de La Favorite avremmo preferito sentirla in francese, Donizetti non ha mai lavorato o approvato il pessimo libretto italiano che modifica trama e addirittura finale quarto! Inoltre avremmo gradito la ripetizione della cabaletta “Mon arret descend du ciel” per portare all’acme il brano così perfetto nella sua semplice architettura. Offriamo l’ascolto della Horne per poter percepire la bellezza della resa in francese:

Il soprano Natalie Bergeron, ultima protagonista vocale della serata, nasce a Birmingham in Alabama ed è una giovane promessa. L’abbiamo ascoltata quest’estate, sempre sul palcoscenico de laVerdi, in Andrea Chénier con Giordani e Gazale (link all’articolo). “Pace mio Dio” da La Forza del Destino è stato il suo primo brano solistico della serata ed in effetti la voce non sembrava ancora sufficientemente calda. Le lunghe note prescritte, i filati non ci sono parsi convincenti: mancava di fiato e di tenuta. Tuttavia queste problematiche si sono presto risolte durante il brano, terminando con una notevole nota sulla parola “Maledizione”. Si è in effetti ripresa e brava c’e’ parsa nel duetto con il tenore “Tu qui, Santuzza?” che ha eseguito con verve drammatica, la stessa necessaria per “Sola, perduta, abbandonata…” tratta dalla Manon Lescaut di Puccini.

In generale un buon concerto, un tipo di programma che, se non si fosse capito, vorremmo vedere più spesso, magari scegliendo brani da opere poco note che altrimenti sarebbe difficile ascoltare. Un espediente che fra poco utilizzerà Chailly: se avete apprezzato questo concerto vi segnaliamo infatti quello in programma al Teatro alla Scala in Febbraio col tenore Joseph Calleja, tutto dedicato al Verdi minore (Alzira, Attila, Giovanna d’Arco, I Due Foscari, Corsaro, Odi il voto dall’Ernani, i ballabili dai Vespri…)

Fabio Tranchida