Ernani: Rudy Park
Carlo: Alessandro Luongo
Elvira: Maria Billeri
Silva: Enrico Giuseppe Iori
Orchestra dei Pomeriggi Musicali
Coro Circuito Lirico Lombardo
Direttore del coro: Antonio Greco
Direttore: Antonio Pirolli
Regia: Andrea Cigni
Il 29 Novembre 2012 abbiamo assistito alla prima dell’Ernani verdiano al Teatro Sociale di Como. Per quest’opera, che ebbe la sua prima il 9 marzo del 1844 alla Fenice di Venezia, Verdi diceva che avrebbe scelto un soggetto senza relazione con altro spartito, eppure si possono documentare ben altri tre Hernani, di cui almeno due precedenti quello verdiano: l’Hernani di Vincenzo Gabussi (1800-46) versi di Gaetano Rossi che ebbe la sua prima al Théatre-Italien di Parigi nel 1834 e l’Hernani di Alberto Mazzucato (1813-77) su testo di Domenico Bancalari in scena il 26 dicembre del 1843 al Teatro Carlo Felice di Genova, e quindi a ridosso della prima verdiana. La terza versione in realtà non venne mai alla luce: si tratta dell’Ernani di Vincenzo Bellini e Felice Romani per il quale il compositore catanese compose nel 1832 solo alcuni episodi poi riutilizzati in altri lavori. E’ però significativo ricordare che la voce scelta da Bellini per impersonare il famoso bandito fosse quella di contralto come per gli eroi rossiniani. Anche Piave ancora il 26 settembre del 1843 immagina un Ernani contralto (con Carlo tenore), senza sapere che da lì a poco Verdi manifesterà invece la sua autorità e il suo intuito musicale affidando la parte del protagonista a un vero tenore romantico.
A Como il ruolo di Ernani è stato affidato a Rudy Park dimostratosi una scelta non del tutto felice. Indubbiamente la voce c’era e veniva donata con generosità, ma mancava il resto: la pronuncia era alquanto difficoltosa, rendendo i recitativi incomprensibili ed i cantabili bloccati dall’articolazione delle singole sillabe. Certo nelle cabalette aveva un certo slancio ed è stata davvero coraggiosa l’idea di inserire a fine atto secondo l’aria alternativa con cori “Odi il voto, o grande Iddio”. Quest’aria venne composta durante la realizzazione della successiva Giovanna d’Arco su invito di Gioachino Rossini per il suo protetto Nicola Ivanoff (1810-1877), già primo gondoliere nel Marin Faliero donizettiano a Parigi. Per quest’aria Verdi ebbe il compenso di 1500 lire austriache, davvero notevole per 213 battute di musica. Certo è un pezzo di notevole bellezza, che inizia in minore per virare poi in maggiore con una vigorosa cabaletta dove è fondamentale l’apporto del coro. Il nostro tenore nonostante la potenza vocale ha cantato questo tour de force un po’ affaticato, cosa comprensibile alla fine di due atti impegnativi. Il brano era prediletto da uno dei pochi in grado di cantarlo, ovvero Luciano Pavarotti, di cui forniamo l’ascolto sotto:
Tutto il resto del cast si è dimostrato all’altezza, incominciando proprio da Carlo V, impersonato dal giovane Alessandro Luongo di cui potete leggere un’intervista sempre tra gli articoli del nostro web magazine. Voce molto brillante (infatti ha in repertorio Belcore e Figaro), ha tratteggiato un bellissimo personaggio con la sua morbidezza nei cantabili, culminando per resa drammatica nel recitativo precedente la congiura “E’ questo il loco?” dove con estrema facilità e senza sforzo ha raggiunto il fa acuto, per poi continuare con l’andante con moto celeberrimo “Oh de’ verd’anni miei” (e qui la voce raggiunge il sol bemolle). Ma i momenti felici non sono finiti: subito dopo il coro della congiura realizzato benissimo e vibrante ecco l’adagio, sempre affidato al nostro Luongo, “Oh sommo Carlo”, che apre il concertato del finale terzo con la giusta maestosità. La voce di Carlo era sempre distinta dalle altre in questo pezzo così come succederà anni più tardi e con maggior raffinatezza ad un altro baritono verdiano: Filippo II (suo figlio!!) nel concertato del terzo atto del Don Carlos parigino. I reali di Spagna devono sempre aver molto ispirato Verdi!
Maria Billeri l’avevamo ascoltata recentemente in una Norma a Torino con buoni risultati in un ruolo così complesso e sfaccettato. Certo il ruolo di Elvira è invece piuttosto monodimensionale, tutta passione e canto esagitato, ma è già un progresso rispetto ai ruoli di Abigaille e Griselda. La protagonista della prima veneziana era Sofia Loewe, interprete poco prima alla Scala anche della Maria Padilla di Donizetti. Il protagonismo della soprano non sopportava il terzetto che chiudeva l’opera, tanto da pretendere un rondò finale (come appunto nella Padilla). Per fortuna la spuntò Verdi, che costruì un lungo terzetto drammatico. La Billeri ci è parsa soddisfacente anche se abbiamo preferito l’andantino “Ernani!… Ernani, involami”, con i suoi ampi intervalli, rispetto alla cabaletta che ha reso meno bene. In effetti “Tutto sprezzo che d’Ernani”, con le sue terzine fulminanti, avrebbe richiesto maggior padronanza nella coloratura. I tempi staccati erano comunque perfetti e il rallentando con grazia alle parole “Ah,vola, o tempo, al core amante” dava spessore e un’oasi di pace al fluire della cabaletta. Certo il personaggio non ha molti momenti per approfondire la sua psicologia; non che canti poco, anzi è sempre in prima fila in concertati e pezzi d’assieme che non sfaccettano però il suo carattere. Anche nel terzetto finale e’ più voce che personaggio. L’unica parola che la caratterizza è quel “Attendimi…” con cui si congeda poeticamente da Ernani.

Terminiamo la nostra analisi con il basso Enrico Giuseppe Iori nel ruolo del “cattivo”. L’invenzione più bella del personaggio è l’associargli il suono del corno che, come sarà poi la maledizione del Rigoletto, incombe su tutti i momenti chiave del dramma. Iori ha complessivamente reso un ottimo Silva (anzi Don Ruy Gomez de Silva per essere precisi), decidendo di cantare anche la cabaletta alternativa della sua aria del primo atto “Infin che un brando vindice”, giustamente (solo in questo caso!) non ripetendola per non rallentare l’azione che vede tutti i personaggi in scena. Questo pezzo era stato composto da Verdi per l’Oberto in una edizione del 1842 a Barcellona per il grande basso Ignazio Marini. Le parole sono di Temistocle Solera, stretto collaboratore di Verdi.
Infine ancora due parole sul direttore: Antonio Pirolli ha scelto ottimi tempi fin dall’intenso preludio e per fortuna ha eseguito l’opera integralmente. Era questo, come testimoniato proprio da numerose lettere, forte intendimento di Verdi, che sanzionava tramite Ricordi chi amputasse la partitura. Grande sfarzo nei costumi, specialmente per il coro che ad ogni atto cambiava modelli e colori. Unica la scena per tutti gli atti, con pannelli rotanti su cui erano incise parole chiave che a seconda del momento venivano illuminate. Sebbene fosse una scena fissa, i vari movimenti di questi pannelli e le luci davano la giusta varietà all’impianto scenico garantendo la giusta attenzione. In conclusione uno spettacolo dall’esito positivo, con alcune eccellenze che giustamente abbiamo sottolineato e con molti ottimi segnali per la salute del teatro lirico in Italia.
Fabio Tranchida