Al termine della recita di Ernani, avvenuta il 29 novembre scorso al Teatro Sociale di Como,  ho desiderato conoscere il baritono Alessandro Luongo, che ci ha dato un’ottima prova nel ruolo di Carlo, famoso rivale di ben…. due rivali.

Già dalle prime frasi del primo atto, ho avuto l’impressione che la voce di Luongo fosse governata da una vera tecnica del fiato. La mia impressione si è avvalorata  durante l’intera esecuzione dell’opera.  Ho forse un po’ temuto, anzi…senza il forse, che nel terzo atto Luongo potesse cedere alla tentazione di andare oltre le sue possibilità.  Cosa non avvenuta. Conversando con lui, ho avuto la conferma della sua notevole consapevolezza dei propri mezzi vocali. Infatti, ha dichiarato appunto di esser cosciente di quelle difficoltà del terz’atto, non tanto per non essere in grado di affrontarle, quanto  per il pericolo  di venir trascinato al di là della propria vocalità.  A questo punto è stato simpatico notare l’espressione seria del suo volto, che ha anticipato le sue parole, quando ho immaginato che,  per il momento, escluderebbe di cantare Macbeth, Rigoletto, Simone e Iago.  Le mie deduzioni hanno trovato pronta e categorica conferma.   La sua prudenza, il cui risultato è un controllo costante,  era connotata perfino da una “sana” paura.

“Sana” paura e non ansia ossessiva è quella che dovrebbe caratterizzare il rapporto del cantante con la propria voce. Abbiamo ricordato, a tale proposito, uno degli  esempi più encomiabili di amministrazione della propria vocalità e cioè quello della grande e indimenticabile Mirella Freni, che ha connotato le scelte della sua carriera con dei clamorosi “no”.  Anche Luongo ha affermato di aver detto i suoi “no”. E’ molto positivo da parte sua che abbia precisato d’aver cantato del repertorio verdiano solo Germont e il conte di Luna oltre a Carlo dell’Ernani.  Ha espresso simpatia per il ruolo di Enrico della Lucia donizettiana. Cliccando su youtube, lo possiamo ammirare nei panni del Figaro rossiniano, del conte delle Nozze mozartiane e dell’händeliano Polypheme.

Da non dimenticare l’affabilità con la quale Luongo ha manifestato la sua coscienza di tecnica vocale.  Infatti, alla mia richiesta di esprimere un parere su Dietrich Fisher Dieskau, anche in questo caso il suo viso ha risposto ancor prima delle parole, che sentiva inadeguate per esprimere tutta la sua ammirazione per il grandissimo baritono recentemente scomparso e da lui definito senza mezzi termini un “genio”. Impossibile non condividere. Purtroppo è impossibile anche evitare la delusione, che si prova, quando cantanti anche affermati deprezzano il magistero ineludibile di certi loro illustri predecessori. Non è certo il caso di Luongo, che gode di rara consapevolezza e di instancabile voglia di approfondire la conoscenza della tecnica e dell’espressione.

Sempre triste notare che, se tutto questo dovrebbe essere scontato, invece è raro  patrimonio di pochi e del numero ancora inferiore di quelli, che sanno attuarlo. Fra questi c’è il nostro Alessandro Luongo, che, durante il prossimo Maggio musicale fiorentino,  canterà e reciterà –  visto che non gli manca neppure un disinvolto gioco scenico –  nei panni del mozartiano Don Giovanni sotto la direzione di Zubin Metha. Sono sicuro che supererà brillantemente la prova.

Giacomo Beria

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