Andrea Chénier: Marcello Giordani
Maddalena de Coigny: Natalie Bergeron
Bersi: Lara Rotili
Carlo Gérard: Alberto Gazale

Coro ed Orchestra sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”
Maestro del Coro: Erina Gambarini

Direttore: Jader Bignamini

All’Auditorium di Milano abbiamo assistito come chiusura della stagione ad un’opera, il più noto lavoro di Giordano: Andrea Chénier. Colpisce immediatamente vedere un pubblico parzialmente diverso rispetto alla normale stagione sinfonica, ci è parso di notare ad esempio molte facce dei fedelissimi del Teatro alla Scala, un pubblico meno abituato alla concertistica ma smanioso di sentire acuti e sovracuti di quest’opera che con generosità accontenta anche i più esigenti. Per una seria insomma abbiamo avuto il piacere di veder chiudersi quella spaccatura incredibile fra pubblico operistico e concertistico.

Umberto Giordano
Umberto Giordano

L’opera Andrea Chénier si può considerare a tutti gli effetti verista. Nasce per interesse dell’editore Sonzogno, che già nel 1890 aveva prodotto il grande successo di Cavalleria Rusticana a cui seguirono di conseguenza molte imitazioni più o meno riuscite come Mala Pasqua di Gastaldon, Nozze istriane di Smareglia, Mala vita di Giordano, Tilda di Cilea, i celebri Pagliacci di Leoncavallo e ancora Silvano di Mascagni. Proprio quest’ultimo favorirà il successo dello Chénier, insistendo sulle bellezze della partitura. Orchestrazione azzeccata, capacità di ricreare con poche pennellate sonore il secolo XVIII, grandi frasi liriche e storia d’amore contrastata sono gli ingredienti principali del successo di quest’opera. Grande merito va certamente anche al libretto di Illica, qui in una delle sue prove migliori: una trama che si sviluppa in 4 quadri (e non in atti), all’epoca della rivoluzione francese, un mondo poco sfruttato dalla librettistica. Sintesi perfetta è la scena nel tribunale rivoluzionario che tratta soli e masse con grande acume e originalità. Un altro esempio dell’attenzione per il colore e la veridicità alle scene, inoltre, si può vedere nei temi rivoluzionari della Carmagnola e della Marsigliese (negli ultimi due quadri). La Carmagnole venne composta nel 1792 con l’avvento del Regime del Terrore. In essa l’autore, che rimane anonimo, irride il tragico destino di Luigi XVI e Maria Antonietta. La più nota Marseillaise, sebbene si creda composta da Claude Joseph Rouget de Lisle a Strasburgo sempre nel 1792, in realtà vanta un più celebre compositore: Giovanni Battista Viotti, nel suo Tema e variazioni composti ben 11 anni prima. Furono ovviamente poi i volontari provenienti da Marsiglia durante la Rivoluzione francese che legarono a loro indissolubilmente il nome con cui la ricordiamo ancora oggi. Un ultima testimonianza del’attenzione verso l’elaborazione di materiale “vero” ci arriva da Illica, che si riserva di rielaborare liriche reali del poeta Chénier, pienamente aderenti alla tragicità dell’esistenza di quest’uomo che visse solo 32 anni.

Alberto Gazale
Alberto Gazale

Se chiaramente la storia d’amore è al centro dell’opera, ci pare che il personaggio più caratteristico dell’opera sia Gérard, che fin dalla prima scena nel giardino di inverno dei conti di Coigny ha modo di emergere con una lunga perorazione, che  simbolicamente termina con il verso “E’ l’ora della morte” ed in qualche modo ci dà il senso di tutta l’opera. Alberto Gazale ha saputo fin da subito cogliere gli aspetti più truci di questo controverso personaggio, prestandogli una voce granitica, sicura in tutta l’impervia tessitura e capace di un notevole fraseggio, indispensabile per un personaggio così complesso. Anche il personaggio di Maddalena appare in scena con una sorta di estraneità al mondo fatuo e settecentesco così ben evocato dal coro di Pastori e Pastorelle. Qui il meccanismo non è dissimile da quello usato da Caikovskij nella sua Dama di Picche, ma un confronto ci permette di notare come l’autore russo si soffermasse a lungo sulla scena creando una pantomima quasi mozartiana, mentre Giordano si accontenta di pochi tocchi di colore, in linea con la drammaturgia verista di Illica che gli impone un passo più spedito. La parte della povera figlia della nobiltà è stata sostenuta da Natalie Bergeron, americana di Birmingham in Alabama. Ottima intonazione, forse alcune carenze nella scansione della lingua italiana e pensiamo sia una voce più adatta a Wagner o Strauss che al repertorio italiano anche se ha già debuttato in Don Carlos, Ernani e La Forza del Destino. La voce e bella, piena, ma forse poco ricca di sfumature, e in un opera come questa le sfumature contano! Non sono comunque mancati gli applausi al termine dell’aria “La mamma morta”, pezzo ormai universalmente noto essendo stato inserito con abile mossa (e con la voce della Callas) nella colonna sonora del film Philadelphia per accompagnare un momento di grande commozione. Arriviamo così al più atteso della serata, il tenore Marcello Giordani nel ruolo eponimo. La voce ha grande slancio e sicurezza negli acuti, mentre sembra in parte rotta nel registro centrale. Queste caratteristiche gli costano una certa fatica nell’articolare con dovizia i versi, ma gli garantiscono un grande successo al termine delle sue arie ricche di acuti d’effetto come “Un dì all’azzurro spazio”“Come un bel di maggio”. Gran finale col duetto strappalacrime tra Chénier e Maddalena, le cui frasi cocenti sono abilmente sorrette dalla musica di Giordano, capace non solo di ricreare l’ambiente del ‘700 ma anche di portare all’acme vere ed autentiche passioni tramite i suoi sfortunati protagonisti. Il direttore Jader Bignamini, nome sempre più presente ed acclamato all’Auditorium (aveva iniziato l’anno come preparatore dell’orchestra, ed anche per lo Chénier arriva in sostituzione), tiene in pugno l’orchestra con grandissima perizia e forza, spingendo la tensione sempre ad altissimi livelli e senza mai perdere compattezza nel suono. Gli fa da degno contraltare il coro diretto da Erina Gambarini, come sempre non solo puntuale ma anche molto espressivo (poi è questa un’opera in cui il coro deve trasformarsi molto: dalle pastorelle ai rivoluzionari assetati di vendetta). Qualche difetto, se vogliamo trovarlo, nell’eccesso dei volumi d’orchestra (già caratteristica di altre performances di Bignamini) che costringono i cantanti ad exploit affaticanti e poco giustificati dalla dimensione e dall’acustica (già di per sé magnificante) della sala, ma se non altro in linea con la passionalità e le tinte forti dell’opera.

Jader Bignamini mentre dirige all'Auditorium
Jader Bignamini mentre dirige all’Auditorium

Visto il successo delle tre repliche in programma ci si potrebbe aspettare dalla programmazione della Verdi più opere in forma di concerto, perché no anche durante la stagione invernale (l’estate e la concomitanza con l’Italia agli europei non aiutano a riempire la sala) e senza temere il confronto con la Scala (che non uscirebbe poi tanto vincente). Certo i costi per un’opera, anche se in forma di concerto, lievitano rispetto ad una normale sinfonia (per non parlare dei concerti da camera), ma penso che anche il pubblico milanese non scaligero apprezzerebbe una programmazione che desse più spazio alla lirica ed al repertorio italiano, ad esempio come era avvenuto per qualche anno con le numerose opere in collaborazione con l’università di Yale. In ogni caso l’anno prossimo si replicherà con Cavalleria Rusticana, sempre sull’onda del verismo.

Tobia da Franchi